Riforme: 4 mesi dopo

Il senato ha approvato le liberalizzazioni. Dopo la riforma delle pensioni e con l’inizio del dibattito sul mercato del lavoro la positiva verifica dell’attività di un nuovo governo offre molte considerazioni sulla contingenza politica del paese. Negli anni passati non servivano 4 mesi ma anni. I governi erano la sintesi della convergenza di personalità politiche, interessi individuali e collettivi, rappresentanze sociali e sindacali caratterizzati da profonde frammentazioni.
La fine della Repubblica dei Partiti e la successiva composizione del centro sinistra e del centro destra non hanno interrotto questo meccanismo, anzi ne hanno moltiplicato diversi aspetti.
Il centro destra ha formato 3 governi: 1994, 2001 (con alcuni cambiamenti), 2008, senza riuscire a realizzare
in nessun caso il proprio programma, ma conseguendo solo risultati limitati e specifici. Inoltre, pur riconoscendosi in una leadership unica per 17 anni, è stato marcato da una lunga serie di rotture interne (prima con la Lega, poi con i centristi, ancora con Fini e di nuovo con i leghisti). Infine non è riuscito a sintonizzare il suo vasto consenso con la necessità di portare gli ambienti sociali che lo votavano ad una coraggiosa e necessaria politica di modernizzazione del paese.
Il centro sinistra ha formato 4 governi: 1996, 1998, 1999, 2006 (con cambiamenti) anche in questo caso
ottenendo solo risultati parziali rispetto ai propri obiettivi programmatici. La leadership è stata sempre discussa, mai riconosciuta fino in fondo dalle diverse componenti delle variegate coalizioni progressiste, segnata da continue divisioni. Nessuno dei suoi governi è riuscito a portare a conclusione i programmi proposti all’elettorato né a presentarsi come una effettivamente capace di rinnovare l’eredità della vecchia repubblica.
Lo scenario non si può interpretare esclusivamente a tinte fosche. Nei vent’anni successivi alla crisi del 1992 sono stati certamente conseguiti alcuni risultati, non sono mancate punte molto positive in alcune politiche di riforma, soprattutto nei primi anni novanta. Anche il sistema politico ha cercato nel bene e nel male di superare
la sua antica anomalia, la mancanza di alternativa tra forze competitive e in ogni caso legittimate a governare il paese. Nel complesso però la classe politica ha mancato il problema centrale di tutte la nazioni che uscivano dalla Guerra Fredda, passare dal mondo bipolare alla grande competizione internazionale scatenata dalla globalizzazione economica e dalla fine dei conflitti del XX secolo.
La crisi del 2011 ha semplicemente svelato la realtà: il sistema politico non è mai riuscito ad affrontare concretamente la principale esigenza del paese, l’ingresso nei mercati globali. Il sistema paese, però, si è sempre mostrato più conservatore di quello politico. Non si contano, dal 1994 al 2011, i casi in cui tentativi anche coraggiosi furono bloccati dalla reazione furiosa di forze sociali, sempre alleate trasversalmente, decise ad impedire qualsiasi tipo di cambiamento. 4 mesi dopo tutto questo è stato rivoltato e messo in discussione. La fragilità dei partiti in parlamento (che stanno coraggiosamente sostenendo Monti) e delle corporazioni che lottano per i propri privilegi non fa che confermare quello che è successo negli ultimi vent’anni. Però, questa volta forse il paese ha capito. Il successo del governo Monti, i risultati che cominciano a vedersi in Italia e nel mondo, ci dicono che l’Italia ha un’altra possibilità. E’ solo nelle mani degli italiani decidere se cambiare per sempre, o diventare la periferia del nuovo mondo.

pubblicato su "la Città" del 3 marzo 2012