Renzi e D’Alema: Mary Poppins o la Terza internazionale?

di Carmine Pinto
Massimo D’Alema ha accusato il sindaco di Firenze di connivenza con il nemico. In sostanza sarebbe la quinta colonna di coloro (nemici e falsi alleati) che non vogliono il PD al governo. Matteo Renzi ha avuto buon gioco nel replicare che i suoi sostenitori, più semplicemente, non vogliono sentire parlare ancora una volta della vecchia guardia del PD, D’Alema, Veltroni, Franceschini, Fioroni e compagni. Le parole dell’ex presidente del consiglio hanno lasciato sconcertati molti osservatori. Agli appassionati di storia l’intervista di D’Alema ricorda un po’ la Terza internazionale. L’avversario politico, soprattutto se a sinistra, era sempre al servizio di un potenziale nemico di classe, del capitalismo, dell’imperialismo o degli americani. Questa volta, molto più modestamente, il sindaco di Firenze, sarebbe amico di quelli a cui non piace Bersani. Anche Renzi non scherza. Non si richiama alla tradizione di Togliatti ma a quella più leggera degli allegri rottamatori fiorentini, più vicini nell’iconografia di film di Tognazzi che alle cupe riunioni del comitato centrale comunista. E poi sceglie il motto di un famoso film di Sordi, “tutti a casa”.

In entrambi i casi il dibattito sulle primarie del Pd è partito decisamente male, esasperando dall’inizio le contrapposizioni personali e delegando rapidamente sullo sfondo i contenuti concreti della battaglia politica. I democratici, invece, devono chiarire le poche ma fondamentali proposte che il Partito vuole proporre al paese su riforma della giustizia, ristrutturazione del welfare e del mercato del lavoro, riorganizzazione  degli enti locali, liberalizzazione completa delle professioni, revisione radicale della spesa pubblica e della funzione delle regioni, questioni etiche, relazioni europee. Nonostante tutto questo, occorre guardare agli aspetti positivi: sono primarie vere, una grande occasione per il Pd e per il Mezzogiorno. Le tre precedenti esperienze sono state deludenti e spesso controproducenti. Le prime consultazioni, quelle di Prodi (2007) furono una semplice farsa, per legittimare una candidatura scontata. Anche quelle successive, utili ad eleggere Veltroni (2007) e Bersani (2009) avevano risultati scontati e, soprattutto, dovevano indicare un segretario di partito e non un candidato premier. Questo produsse delle distorsioni notevoli, snaturando il senso del voto. Le primarie diventarono, in entrambi i casi, uno strumento utile solo a misurare i rapporti di forza tra le correnti nazionali o tra i notabili locali.

Invece ora sono primarie vere. I candidati sono forti e radicati, hanno seguito politico e mediatico, puntano a vincere. Questo rende le consultazioni una occasione per i democratici meridionali e campani. Il dibattito va aperto tra i dirigenti e nell’opinione pubblica, offrendo al confronto nazionale la possibilità di un vero salto di qualità. Il candidato premier vuole rappresentare il Mezzogiorno? Con che politiche? Con quali programmi economici? Con che tipo di rinnovamento della classe dirigente? Sue queste linee un ceto politico serio e responsabile dovrebbe schierarsi e organizzare il proprio consenso. Se, invece, i dirigenti campani e salernitani si collocheranno solo per tutelare posti e candidature, faranno un grave torto a se stessi e un altro irrimediabile danno al proprio territorio.

pubblicato su "la Città" dell'8 settembre 2012