Religione civile: storia di un'assenza

deluna

Cosa è la religione civile? Lo spiega Giovanni De Luna nel suo ultimo libro (Una politica senza religione, Einaudi): la “religione” è “qualcosa che lega, che unisce, un principio unificatore dei singoli; civile rinvia allo spazio pubblico della cittadinanza, suggerisce che nel diventare cives gli individui accettino dei vincoli e si riconoscano in uno Stato legittimato anche da un insieme di narrazioni storiche, figure esemplari, occasioni celebrative, riti di memoria, miti, simboli che riescono a radicare le istituzioni non solo nella società ma anche nelle menti e nei cuori dei singoli individui”. Si definisce, così, un principio di cittadinanza in cui abbandonare le nicchie individualistiche e corporative. La religione civile non è un dogma immutabile ma la cangiante interpretazione storica del “fare gli italiani”. Nel corso degli oltre centocinquanta anni di unità la sua forma è stata condizionata dal concetto di nazione forgiato nella temperie del Risorgimento e nell’abisso del fascismo.

Soprattutto quest’ultimo ha sporcato l’idea di Patria al punto che i costituenti si pongono due obbiettivi: da un lato dimenticare la dinastia monarchica e l’elitarismo dell’Italia liberale, dall’altro annullare la nazionalizzazione totalitaria delle masse realizzata dal regime. Forse è per questo che la parola Patria appare solo all’art. 52 della Costituzione: “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge”. Il concetto è strettamente legato alla difesa nazionale e all’organizzazione militare. Il che è significativo per comprendere quanto la parola scatenasse nei costituenti l’associazione di idee tra Patria e violenza armata. Inoltre, l’identità politica della maggioranza dell’Assemblea costituente apparteneva a ideologie avverse al nation-building risorgimentale. Dal che se ne deduce che i tre principali partiti di massa (Dc, Pci, Psi) avessero difficoltà a declinare la loro missione statutaria come servizio alla Patria. Del resto, la stessa Resistenza diviene oggetto di diatriba politica tra democristiani e comunisti: da una parte si diluiscono le responsabilità collettive (nascondendo, in particolare, ogni possibile riferimento al conflitto inteso come guerra civile), dall’altra si esalta la lotta di classe (in vista di una sempre potenziale rivoluzione proletaria). Il non aver reso la Resistenza il fulcro di una religione civile, svincolata da un uso pubblico partigiano della storia, ha esposto la Repubblica ai venti del revisionismo. Se le forze antisistema sono entrate nell’arco parlamentare è colpa della classe dirigente e della sua incapacità di salvaguardare le istituzioni dal particolarismo. Per questo, il Quirinale, puntando sulla rivalutazione della Patria (da Pertini in poi) come difesa del bene comune, è diventato, nella lunga crisi di transizione, l’unico punto di riferimento dei cittadini fuori dalla mischia dei partiti. Insomma, la storia della religione civile italiana è il racconto di un’assenza. Ma evocarla non basta, forse è arrivato il momento di costruire una Patria social 2.0, cosciente degli errori del passato.