Quei casi del medico dei pazzi

mafia da legare blog
Corrado De Rosa

Entrando alla Feltrinelli troverete il libro “Mafia da legare”. Lo hanno scritto una giornalista siciliana, Laura Galesi, e uno psichiatra salernitano, Corrado De Rosa. L’argomento dell’opera è innovativo nel campo della saggistica sulle mafie. Le biografie di boss noti e di semplici affiliati a Cosa nostra sono rilette attraverso il paradigma della follia; ovvero la strumentalizzazione attiva (fingere di essere pazzi) e passiva (accusare gli avversari di essere pazzi) della malattia mentale per ottenere agevolazioni carcerarie e procrastinazioni giudiziarie. Dietro questa trama di menti artificiosamente labili si condensa una vasta zona grigia di psichiatri e medici che, in combutta con gli avvocati difensori, falsificano le perizie sanitarie con certificazioni fasulle, nascondendosi dietro il principio dell’incertezza diagnostica. Un mondo in cui l’etica professionale è il mulino a vento di idealisti sfigati.

Lo psichiatra (il cui ruolo nell’immaginario è quello dello specialista avulso dalla realtà perché si occupa di casi “anormali”), come ogni altro libero professionista connesso al contesto mafioso per motivi di lavoro, deve compiere una scelta: accettare le parcelle milionarie dei boss simulatori di follia o le poche centinaia di euro offerte dallo Stato per smascherare l’ingegnoso inganno? De Rosa ha fatto la sua scelta. Ha accettato di stare, anche in quanto dipendente pubblico, dalla parte della Repubblica, proprio come recita l’art. 54 della Costituzione: “I cittadini a cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempiere con disciplina e onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”. La disciplina, in questo caso, non è il rispetto della gerarchia ma la capacità di sottoporsi a regola e sforzo ordinato per raggiungere un fine capito e voluto. L’Onore, invece, non è quello deformato del mafioso ma si riferisce alla particolare superiorità ed eccellenza delle persone oneste, in particolare l’onestà con cui assolvono ai doveri pubblici. De Rosa non ha ancora compiuto quarant’anni. In quest’Italia invecchiata è un giovane, eppure sta indicando a molti suoi colleghi, alle prime armi e/o più anziani, una strada da seguire, con l’esempio prima che con le parole. Avrebbe potuto andare a vivere lontano da questa città, scegliere di aprire uno studio privato e guadagnare denaro senza sforzo, accettando qualche “piccolo” compromesso. Dopo qualche anno lo avrebbero invitato in qualche talk show pomeridiano (a parlare di uno dei tanti omicidi che richiamano l’attenzione morbosa dei telespettatori) e in questa città sarebbero stati orgogliosi della sua fama, senza essere interessati alla sua onestà. Invece no. Vive a Salerno, lavora in Basilicata e gira le carceri italiane per evitare che lo Stato sia infinocchiato da qualche abile manipolatore. Quando immagino il riscatto del Sud penso ad uomini come Corrado De Rosa e al suo esempio.