Pensieri forti & politiche deboli

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Raccogliere a Salerno (“città del fare”) oltre un centinaio di persone per dibattere su “Esperienze di vita e pensieri forti, tra il Novecento e il Papa venuto dalla fine del mondo”, dietro sollecitazioni di Mario Tronti e Massimo Borghesi, due “grandi” del pensiero filosofico nazionale (moderati dal direttore del Mattino, Alessandro Barbano) è stato senz’altro un successo dell’associazione culturale “Enrico Melchionda” (di cui è portavoce Massimo Adinolfi, anch’egli filosofo) e del Circolo “Cara beltà”. Non è facile – nella nostra città - attrarre l’attenzione su temi che riguardino la sfera dell’essere piuttosto che quella dell’avere. Non a caso alla politica si chiede sempre meno che “consista” in qualcosa, facendosi bastare che “rappresenti” qualcosa. Senza la voglia di addentrarsi in datazioni che creerebbero divergenze, si può convenire che un certo rimescolamento di idee (o, di contro, una certa loro confusione) si è prodotta nell’Occidente capitalistico a partire dalla caduta del Muro di Berlino. E’ lì che le cosiddette “ idee forti” – quelle che si àncorano ai fatti della storia, e non già alla loro narrazione ideologica e controfattuale – sono per così dire “andate in crisi”. E da lì in poi che la politica a mano a mano ha ceduto all’economia sempre spazi maggiori nel governo della società. Fino ad esserne essa stessa in qualche modo governata, o quanto meno etero-diretta. E questo è potuto accadere perché i gruppi dirigenti delle due più grandi culture del Novecento – la cattolica e la marxista -  non sono state in grado di coltivare le proprie idee, ed hanno prodotto spesso classi dirigenti risultate al di sotto dei bisogni del proprio tempo. Al punto da trasformare a poco a poco la democrazia politica in democrazia elettorale, attuatrice di “politiche deboli”, in quanto sempre meno condivise, benché legittimate da un voto via via meno partecipato, come confermano i dati delle elezioni regionali di qualche settimana fa in Emilia-Romagna e Calabria. Sicché ormai da decenni il sistema politico nazionale si regge non più sulla qualità della politica pensata o attuata (welfare sul piano sociale ed estensione dei diritti su quello politico), bensì sulla quantità dei voti raccolti. E in base a questo (e quasi solo a questo) si auto propongono e auto selezionano i gruppi dirigenti di quelle scatole vuote in cui – con pochi distinguo – si sono trasformati i partiti che hanno fatto la storia repubblicana nella seconda metà del '900. Specularmente, ma con accenti critici diversi, si svolge l’analisi teorica di Franco Cassano che nel suo recentissimo e-book “Senza il vento della storia” ipotizza per il suo PD un percorso diverso, per recuperare centralità e vigore nel dibattito politico nazionale. E benché il suo pensiero sia centrato sopra una base sociale molto ampia (che comprende, insieme alle tradizionali categorie di operai, lavoratori dipendenti e pensionati anche – scrive Gad Lerner su Repubblica – “la nuova dimensione individuale del lavoro autonomo, dell’imprenditorialità, del precariato, dei diritti legati all’ambiente e alla cittadinanza”, rimanda al gramsciano concetto di "blocco sociale". Una sorta di “dentro tutti”, con cui il sociologo anconetano legge il futuro del PD. A sentire Gad Lerner, la preoccupazione del professore (ora deputato del Pd) sarebbe quella di non isolare “i migliori” (antipatico refrain, ndr) “ per non regalare a chi nega il valore della fraternità quella confidenza con le debolezze dell’uomo grazie a cui l’egoismo e il populismo sono diventati senso comune maggioritario”. Ma la “confidenza con le debolezze dell’uomo” troverebbe tutti d’accordo nel PD? Senza dire che una visione così socialmente onnicomprensiva più che a un partito somiglia molto da vicino al Partito Unico. Un “ricorso storico” troppo ravvicinato, per la stessa teoria vichiana.