Pascal. Eliminare i rischi

Vi piace scommettere? Se vi piace farlo, probabilmente amate anche la porzione di rischio che è parte integrante della scommessa, che ve la rende affascinante. E invece siete dei cretini matricolati, gente che non ha saputo (o voluto) dar retta a un altro furbone della storia del pensiero: Blaise Pascal. Per lui, infatti, vale la pena di scommettere solo quando si è certi di vincere qualcosa, altrimenti meglio desistere. Chiaro?

Per rimanere nello spunto che ispira questa rubrica – lui è come quegli allenatori che lanciano i giovani in squadra solo quando il risultato della partita o il momento della stagione lo rendono possibile, senza rischio, appunto. O che ricorrono al 4-3-3 solo quando le sfide sono al sicuro, per dimostrare che sanno insegnare anche altri moduli. Comodo. E purtroppo anche utile, in un'Italia che paga sempre più la discendenza intellettuale dal machiavellismo.

Dunque Pascal. Un suo amico, il cavaliere di Méré, un libertino amante del gioco, gli chiese di risolvere problemi di probabilità legati alle puntate nel gioco d'azzardo: la risposta di Pascal fu l'elaborazione di una teoria della probabilità fondata su calcoli matematici che, se applicati alla questione dell'esistenza di Dio, potevano (e dovrebbero pure oggi) risultare convincenti anche per coloro i quali la fede non la posseggono. Nel vasto mare della sua argomentazione, ecco il pezzo rivelatore: «Pesiamo il guadagno e la perdita, nel caso che scommettiate in favore dell'esistenza di Dio. Valutiamo questi due casi: se vincete, guadagnate tutto; se perdete, non perdete nulla. Scommettete, dunque, senza esitare, che egli esiste». E allora bisogna concludere, con il furbo Pascal: vale la pena di scommettere sull'esistenza di Dio, è una puntata sicura.

Applausi sinceri. Si allunga la serie di coloro che hanno cercato di dimostrare l'indimostrabile: da Anselmo da Aosta a San Tommaso con mille rivoli laterali, ascendenti e discendenti, fino ai giorni nostri; passando dunque anche per Pascal. E in qualche puntata della rubrica proveremo a ragionare sull'inconsistenza di tesi che pure vengono ricordate nei secoli dei secoli. L'indimostrabile è tale perché, appunto, non è dimostrabile. Noi non sappiamo qui sulla terra se Dio esiste o meno, e non c'è verso di saperlo né di dimostrarlo perché così è e non può essere diversamente. Si crede per fede, certo, ma dimostrazioni dell'esistenza non ce ne sono. La testardaggine di chi si affanna a provarci, offende in realtà sia i credenti che i non credenti. Dire, ad esempio, che poter pensare a Dio o poter dire che non esiste dimostra comunque che deve esistere altrimenti non lo penseremmo, è sciocca esercitazione del pensiero: se penso alla sfrunazia, una pianta con foglie diverse da ramo a ramo e rami di consistenza differente da tronco a tronco, vuol dire forse che deve esistere solo perché l'ho pensata?

Dunque Pascal. Un altro furbo.