Medici senza coscienza

san  leonardo

La notizia di un possibile caso di corruzione legato alle cure ospedaliere e allo scavalcamento delle liste d’attesa, per avere la certezza di un intervento chirurgico che può salvare la vita di un degente, non mi indigna, mi fa proprio incazzare. L’indignazione è roba da intellettuali e credo di non appartenere alla categoria. Ma una volta accertato il reato e divenuta definitiva la condanna in casi del genere ti viene voglia di chiedere al giudice di non infliggere una condanna penale ma provocargli gli stessi stenti e le stesse sofferenze dei pazienti costretti a subire le angherie del Mengele di turno che gioca con la vita altrui trasformandola in un’occasione di arricchimento personale. Già me lo vedo l’ipotetico luminare, dal fare mellifluo, annunciare all’ammalato e ai suoi perenti, riuniti al capezzale, che è necessario un intervento urgente per evitare il peggio e concludere dicendo: “Purtroppo c’è una lunga lista d’attesa e non è possibile programmare l’operazione prima di un paio di mesi”. Dopo aver lanciato l’esca attende qualche istante, giusto il tempo di vedere calare sui volti degli interlocutori la più cupa disperazione, poi comincia a ruotare il galleggiante in modo da far abboccare i pesci all’amo. La formula magica, che apparentemente reca sollievo all’afflizione della preda (costruendo una trappola perfetta da cui non è possibile sottrarsi), ruota intorno ad un “però…”, detto con fare ammiccante. Insomma, è come se si ponesse il malato e la sua famiglia di fronte ad una scelta in cui il destino di vita o di morte dipenda solo dalla risposta del sofferente e non dalla trama ordita dalla perfidia del dottore. La lista è lunga, però con un “contributo volontario” si può accorciare e se l’esborso è davvero generoso si può arrivare in cima in un batter d’occhio e porre fine al calvario ospedaliero con una degenza estenuante. L’accordo, naturalmente, non avviene nei corridoi del reparto ma in qualche ambulatorio o stanza dove si patteggia in termini economici la data dell’intervento chirurgico.

Tutto gira intorno alle capacità reddituali e alla rete di protezione familiare: se sei un libero professionista, un imprenditore o hai qualche santo in paradiso te ne fotti del ricatto perché prima o poi al signore in questione gli “restituisci” il favore; se sei un impiegato, un precario, un pensionato, al contrario, sei fottuto perché non hai la capacità contrattuale (i soldi e il potere) per chiudere la partita a tuo favore; a meno che, per paura di tirare le cuoia, non decida di indebitarti trascinando nel vortice anche i tuoi parenti. Ed allora è possibile che troverai qualche buona anima (un assistente o un infermiere o un finto benefattore) pronta a prestarti il denaro di cui hai bisogno per scalare la montagna e fregare, appagando l’istinto di sopravvivenza, tutti gli altri che rimangono indietro. Quando avrai consegnato la busta con il denaro contante avrai la sensazione di sentirti già meglio, sicuro che quel dato giorno entrerai in sala operatoria per uscirne sano e salvo. Non conta se devi dare a qualcuno il trecento percento di interessi su una cifra che si aggira tra i duemila e i cinquemila euro, se ti va bene. Come si dice: quando c’è la salute… Con il passare del tempo, però, quel debito, che ti ha restituito la gioia di vivere, comincia ad essere una dannazione: non riesci ad estinguerlo, né puoi denunciare l’accaduto perché, in fondo, con quei soldi presi ad usura sei diventato parte attiva di un sistema di corruzione che ti ha curato a danno di altri rimasti in attesa. Chi sfrutta la malattia per accrescere la propria ricchezza è un mostro: abusa della debolezza fisica e della prostrazione psicologica, personale e familiare, pur sapendo di compiere un abominio. Si tratta di una minoranza, è vero, ma è una minoranza che rischia di far ombra all’intera categoria dalla quale ci aspettiamo uno scatto di orgoglio in nome di Ippocrate e soprattutto del buon senso.