Matierno: un caso mediatico nella "terra di mezzo"

Matierno

Perché la questione di Matierno è diventata un caso nazionale? Perché una tensione ultra locale si è trasformata in un cuneo iper comunicativo? Se a guardare una ragazzina fosse stato uno dei tanti salernitani che vivono nel rione ci sarebbe stato altrettanto clamore? E, infine, perché ciò è accaduto proprio in un quella parte di città in cui si vive male tra assenza di servizi e intossicazioni di fumi industriali? Nella marginalità la paura s’ingigantisce, diventa panico morale, si espande oltre la dimensione del reale generando spaventosi fantasmi. Esce fuori, così, che Matierno non è “Colonia”, ma, a dire il vero, non c’era bisogno di un manifesto razzista per notare un dato di fatto: non si può confrontare un quartiere con una città, né si può paragonare Salerno a Colonia che ha un numero di abitanti dieci volte maggiore. Inoltre, il livello di ricchezza della metropoli tedesca è nettamente superiore non solo in funzione del reddito medio ma anche per qualità della vita e benessere collettivo. Dunque, il corto circuito innestato è solo il frutto di una speculazione dell’immaginario prodotta dall’allarme sociale scatenato dalle aggressioni di Capodanno. Orbene vi domando, e mi domando, qual è il meccanismo che ha consentito ad una notiziola da bar di periferia di mutare in “caso”? Se proprio vogliamo essere corretti dovremmo capire come dal fatto locale si sia aggregata una catena di senso in grado di innestarsi nel media setting nazionale.

Un’interpretazione di senso potrebbe essere che ci sentiamo tutti appartenenti ad una “terra di mezzo”. Non mi riferisco, evidentemente, né a quella descritta da Tolkien, né a quella raccontata da Carminati ai suoi interlocutori. La “terra di mezzo” a cui mi riferisco, evoca un’altra, diversa, condizione di contiguità. Anch’essa inquietante, seppure meno insidiosa. Riguarda e richiama la sgradevole sensazione di essere stretti, quasi schiacciati, fra il “Mondo” e il “mondo”. Tra le violenze globali, che esplodono non lontano da noi: in Francia, Danimarca, Ucraina, Libia, nei Paesi dell’area mediterranea e Medio-orientale, da una parte. E, dall’altra, i fatti criminali locali. A cui si aggiunge la crisi economica, che continua a gravare sulle imprese e sul lavoro intorno a noi. Vicino a casa nostra. Il problema è che, come in passato, la percezione e la rappresentazione degli eventi ansiogeni, delle paure divergono. Appaiono, almeno in parte, distinte. Soprattutto per quel che riguarda il Mondo sopra di noi. Il quale ha fatto irruzione nella nostra vita attraverso i media. Perché è, anzitutto, sui giornali e sui telegiornali che il terrorismo islamico è penetrato nella nostra vita. D’altra parte, non da oggi, ma oggi più che nel passato, il terrorismo utilizza i media, la televisione e la rete, come campo di battaglia. Ne ha fatto un terreno dove combatte la propria guerra, facendola divenire globale. Trasformando ogni esecuzione e ogni attentato in un evento sanguinario e spettacolare. Quasi un serial del terrore, scandito da episodi che si ripetono. Con frequenza e regolarità. I tragici fatti di Parigi e la paura degli attentati terroristici sono gli avvenimenti che occupano la parte più significativa dell’agenda dei media europei e nazionali (secondo il rapporto sulla sicurezza sociale della Fondazione Unipolis, rispettivamente con il 78% e il 69% di visibilità sul complesso delle notizie ansiogene). D’altra parte, i titoli dei servizi contribuiscono a generare, a loro volta, preoccupazione. Allertano che i terroristi sono tra noi” e “l’Europa è sotto attacco”. Sollevano l’attenzione sulle “famiglie integrate di immigrati di seconda generazione che indossano i panni di una sorta di internazionale dell’orrore” e “indottrinano ragazzi che perdiamo”. Si spargono quote di “fear of terrorism” in oltre due terzi delle notizie teletrasmesse con riferimenti espliciti alla minaccia che il terrore islamico rappresenta per le comunità occidentali. L’agenda dell’insicurezza dei telegiornali, di conseguenza, mette in secondo piano le altre dimensioni ansiogene legate alla criminalità o alla crisi economica. A livello europeo, ma anche in ambito nazionale. Pertanto, Matierno non è Matierno, ma un’insondabile “terra di mezzo”.