Luci, niente cultura solo consenso

amsterdamLe “Luci di artista” salernitane non richiedono recensioni critiche né tanto meno digressioni storiche e fantasiose. Anche quest’anno sono presenti nella manifestazione alcuni artisti con le proprie opere, come a Piazza Vittorio Veneto,  ma scompaiono sotto la massiccia quantità di opere industriali di plastica. L’evento salernitano che capta l’attenzione (altrettanto massiccia) dei media locali, meriterebbe invece altro tipo di  approfondimento, più di pertinenza sociologica e antropologica che estetica. Un’analisi che rischia piuttosto di avallare un  inesistente carattere culturale laddove bisognerebbe chiarirci se in alcuni luoghi, come Napoli e Salerno,  si sia del tutto avverata la profezia di Pasolini (di cui proprio nei giorni scorsi è stato presentato un ottimo documentario di Michele Schiavino al Mumble Rumble).  Quel grande fenomeno della “mutazione antropologica” degli italiani dove all’aumento dell’alfabetizzazione non è corrisposta purtroppo una analoga crescita culturale e che fa sì che i piani vengano spesso pericolosamente confusi. Se c’è chi, come Cycelin sul Corriere del Mezzogiorno, ha parlato chiaramente di declino della società campana, a proposito di questo uso sfrenato e “natalizio” delle risorse, è’ indubbio che le luminarie che addobbano oggi  le strade con grandi problemi di  “uso” della città, abbiano perso la loro matrice più popolare e autentica del Natale. L’aspetto religioso della festa è sempre stato “ illuminato” dagli addobbi, dai fuochi, dalle bancarelle di cibo ma oggi esso in Europa si è evoluto in rituali “urbani” contemporanei come testimoniano i numerosi “light festival”  di molte città europee che durano pochi giorni, vengono affidati a valenti light designer e attirano migliaia di turisti. E anche dove rappresentano la continuità di una tradizione come ad esempio nel Salento, essi si avvalgono di un valente artigianato locale come i “paratori” di Scorrano che approntano luminarie note in tutto il mondo per la festa della santa patrona che si tiene in luglio, o come è accaduto a Viareggio per i carri del Carnevale.  Queste tradizioni si sono via via evolute in quanto non legate più al ciclo naturale delle stagioni, alle raccolte dei campi né più ispirate dalle magnificenze delle corti europee. Ma nulla di tutto questo riguarda la manifestazione salernitana che non utilizza artigianato locale ma noleggia ad alto costo luminarie costruite altrove e  il cui unico approccio di analisi permane quello economico- statistico; ma non c’è alcuna volontà  di predisporre un tale studio i cui risultati rischierebbero di essere deludenti e  di stridere con l’abituale enfasi. E sarebbe anche interessante capire quanto la manifestazione abbia inciso sul flusso di voti  e sul consenso, che resta poi  il suo principale scopo. Certamente questi dieci anni hanno contribuito ad aumentare la popolarità di Salerno; a far girare il nome nei tour operator o nelle recensioni di Trip Advisor, a pagamento o meno, ma bisognerebbe meglio valutare –anche con una analisi di customer satisfaction - quanto i salernitani siano contenti che il maggiore attrattore della propria città siano le luci dell’Iren di Torino. Anche l’altra novità di quest’anno e cioè lo storico spostamento dell’asse del napolicentrismo su Salerno, sembra più una scaramuccia tra sindaci che una vero riequilibrio nell’uso delle risorse europee. Un’indagine sul punto potrebbe essere sfiziosa, una specie di “referendum” tra le due popolazioni, anche per le allegorie dei vari simboli, il pregnante significante virile dell’albero di De Magistris e il moto perpetuo della ruota, infinito come il potere salernitano. Ma  è davvero segno di un declino dei tempi dividere i cittadini di una antica capitale del Regno delle due Sicilie e quelli del crocevia longobardo delle quattro civiltà mediterranee sulla scelta tra “N’albero” o “Na Rota”. Sic transit gloria mundi.

Nella Foto l’Amsterdam Light Festival