Lo spaccio e i "ragazzi dei quartieri"

droga

Leggendo il comunicato ufficiale dei Carabinieri, relativo all’arresto di alcuni pusher che gestivano una piazza di spaccio a Mercatello, si evincono alcuni aspetti generali tipici delle organizzazioni dedite al traffico di stupefacenti. L’età dei soggetti coinvolti è sempre più bassa con affiliati imberbi diretti da boss ragazzini. Si inizia presto, da adolescenti, attraverso la rete delle amicizie nel quartiere. Prima ti fai una canna in comitiva, poi la procuri agli amici e infine ti rendi conto che puoi venderla anche a conoscenti e vicini. In breve il giro si allarga e si presenta qualcuno che non vuole la solita marijuana e allora devi ampliare l’offerta dei prodotti. Ma se aumenta il numero di clienti si è anche più esposti alle fregature di qualche tossico che non ha i soldi per pagarti o che crede di poterti fregare. Allora hai bisogno di qualche amico fidato (consumatore e pregiudicato) che non si fa troppi scrupoli a tirare qualche pugno o a estrarre la pistola in faccia al malcapitato di turno. Il recupero crediti, in questo settore, è un’azione strategica con un duplice valore: da un lato serve a dimostrare la capacità di controllo del territorio, la determinazione nell’uso della forza, l’affermazione della banda quale soggetto criminale autorevole; dall’altro consente di avere liquidi sempre disponibili per gli acquisti all’ingrosso da stoccare e lanciare sul mercato quando i fornitori del livello superiore chiudono i rubinetti (molto spesso a causa di una reteta o di un guerra tra clan). Il gruppo fa quadrato intorno a un capo carismatico. Di solito questo ruolo tocca a chi detiene i rapporti con i grossisti, non teme i conflitti con potenziali avversari, ha il fiuto per gli affari e il senso dell’organizzazione.

Il sodalizio non è ancora un clan, ma una gang urbana il cui reddito non deriva dagli antichi mestieri criminali (scippo, furto, rapina, estorsioni, ecc.): l’introito principale proviene unicamente dalla distribuzione della droga. Ciò li rende speciali agli occhi dei marginali che si arrabattano nel mondo della delinquenza individuale senza arricchirsi. Sono una specie di aristocrazia operaia del crimine, un ceto medio delinquenziale la cui posizione nel contesto malavitoso è data dall’essere impegnati in un’impresa commerciale. È chiaro che si tratta di un’autonomia relativa: per mandare avanti l’attività si dovrà cedere una quota delle entrate ai clan dominatori della scena. La gang entra, così, a far parte di una filiera all’interno della quale sviluppa una rete di vendita al dettaglio in un determinato territorio. Se le cose vanno bene gli viene concessa in esclusiva una piazza di spaccio. La clientela, col tempo, si fidelizza e si adegua ai meccanismi acquistando la “roba” senza correre il rischio di essere denunciata. Tuttavia, può accadere che il successo della gang sia invidiato da altri ragazzi del quartiere. A Quel punto i casi sono due: o i nuovi arrivati si accodano al gruppo già esistente o provano a competere cercando altri grossisti per sfilare ai concorrenti il maggior numero di clienti. La reazione, come immaginate, non sarà quella tra operatori che si affrontano sul libero mercato. La concorrenza, in un simile ambiente, tramuta in conflitto armato (come dimostrano le scissioni dei clan napoletani) nel quale non conta il prezzo e la qualità della merce venduta ma il coraggio di usare la violenza come risorsa strumentale. Pertanto, dopo una serie di avvertimenti, si arriva inevitabilmente allo scontro armato e ci può scappare il morto. Salerno, sebbene abbia una struttura camorristica di secondo piano, è uguale a migliaia di altre città medie in cui i “ragazzi dei quartieri” molto spesso arrivano al benessere col narcotraffico e non certo cantando il rap; anzi l’hip hop non potrebbe esistere, come letteratura neorealistica di periferia, se non ci fossero storie di marginalità e criminalità urbana da raccontare.