Le elezioni e la casta antimafia

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Piero Grasso e Rosaria Capacchione candidati al Senato con il Pd; Antonio Ingroia e Sandro Ruotolo con Rivoluzione civile; don Luigi Merola probabile candidato con il Pdl. Questo è un esempio della società civile messa in campo dai partiti per recuperare un rapporto con il paese reale. Sicuramente magistrati e giornalisti hanno rappresentato l’intransigente opposizione al dominio berlusconiano, anche se, in molti casi, la severità è mutata in sterile integralismo. Il cavaliere e i suoi acerrimi nemici - “Servizio Pubblico” docet - sono due facce della stessa medaglia: la politica cede il passo allo spettacolo che imita gli stilemi del processo penale. Le persone citate all’inizio dell’articolo appartengono, a vario titolo, al movimento antimafia, un segmento istituzionale, professionale e sociale che, negli ultimi vent’anni, ha compensato il venir meno della passione per la politica. Non a caso l’ex magistrato Ingroia, scegliendo l’agone elettorale, si è rivolto al network “Libera” per collegarsi ad uno zoccolo duro di cittadinanza attiva che si batte contro le mafie per la legalità, per la difesa della Costituzione, per contrastare la corruzione, per il riutilizzo dei beni confiscati. Senza dimenticare le prese di posizione a favore dell’equità e della giustizia sociale fondate sul principio di corresponsabilità, ovvero sulla coniugazione di diritti acquisiti e doveri da rispettare.

In poche parole nel suo complesso il movimento antimafia ha raccolto il testimone identitario di una sinistra allo sbando, sempre più simile al suo avversario. Per questo gli esponenti più in vista sono diventati soggetti appetibili da spendere sul mercato elettorale. Si comprende, quindi, perché “democratici” e “rivoluzionari” abbiano tentato di fagocitare i pezzi più strutturati del movimento. Ma con don Merola come la mettiamo? Se la proposta di candidatura non fosse solo una voce? Come potrebbe digerire, il prete anticamorra, la compagnia di Nicola Cosentino e Luigi Cesaro? Certo sarebbe una dimostrazione di “ecumenismo” politico, ma non basterebbe a sedare la coscienza. E allora? Credo che il problema sia più profondo. Molti militanti del movimento sono attanagliati da una smania di protagonismo che a volte sfocia nella mitomania. Per alcuni partecipare a convegni pubblici contro le mafie è una sorta di attività professionale che procura l’aura del santo martire, segnato dalle stimmate dell’impegno civile. Alcuni si sono avvicinati al volontariato solo per essere cooptati dalla politica; altri sono stati trombati dai partiti e sperano, seguendo la “moda” dell’antimafia, di rientrare dalla porta principale. Questi santoni e predicatori della legalità (che ripetono fino alla noia sempre le stesse formule) rappresentano la casta dell’antimafia: personaggi autoreferenziali che sfrutta la disponibilità dell’opinione pubblica per soddisfare ambizioni personali. Sciascia senza dubbio aveva sbagliato bersaglio, ma aveva ragione da vendere.