Lavoratori anziani e disoccupati giovani

anziani giovani

Elaborando i dati Istat sulla popolazione salernitana si ricavano una serie di notizie interessanti sui possibili sviluppi futuri della città. L’età media dei cittadini è di 45 anni, nel 2002 era di 41 anni. Gli over 65 sono circa 32mila, ovvero il 12% del totale che è di 133.885 abitanti. L’indice di vecchiaia negli ultimi 12 anni è cresciuto di 60 punti: ogni cento giovani ci sono 197 anziani. Questo andamento ha inciso sull’indice di dipendenza strutturale (ovvero il carico sociale ed economico della popolazione non attiva - 0-14 anni e 65 anni ed oltre - su quella attiva - 15-64 anni -): a Salerno nel 2014 ci sono 56 individui a carico di 100 persone che lavorano. Si tratta, in realtà, di un dato puramente teorico poiché non tiene in considerazione quella parte di popolazione (15-30 anni) che dovrebbe essere attiva ma non lo è a causa dell’alto tasso di disoccupazione giovanile (41,9% nel 2014). Ciò significa che l’indice di dipendenza strutturale è molto più alto di quello indicato dalle statistiche ufficiali. In pratica, con il reddito familiare bisogna far fronte alle esigenze degli anziani, ridotti ormai ad uno stato cronico di povertà latente, alle necessità dei bambini e degli adolescenti e alle dinamiche di socialità dei giovani adulti senza reddito (chi paga le serate nei pub, le vacanze al mare, la motocicletta e gli “sfizi” di costoro?). Nel capoluogo, come si evince dal basso ricambio della popolazione attiva, i lavoratori sono tutti in età avanzata, prossimi alla pensione, ma i posti che lasceranno non saranno destinati ai giovani disoccupati poiché il principale veicolo di collocamento nel Mezzogiorno, la Pubblica Amministrazione, è in crisi strutturale con una costante diminuzione degli impiegati.

Cosa accade in una città in cui al progressivo invecchiamento della popolazione si unisce un alto tasso di disoccupazione giovanile? Il primo aspetto è l’indebitamento della famiglie che, non riuscendo più a risparmiare, devono ridurre i consumi per fronteggiare le spese di educazione destinate ai figli e quelle relativa al sostegno dei nonni. Tuttavia, il capofamiglia, che ha un’età compresa tra i 45 e 65 anni, non può fare affidamento sui redditi di altri componenti (vista la quota crescente della disoccupazione femminile e la riduzione delle pensioni) entrando in una spirale di continua emergenza: qualsiasi esborso occasionale diventa un pericoloso attentato all’economia familiare. Il secondo aspetto legato all’invecchiamento è l’aumento dei costi a carico del sistema sanitario e dei servizi sociali territoriali: una società di anziani ha bisogno di maggiore cure ospedaliere e farmaceutiche con annessa assistenza domiciliare. Pertanto se è vero che la spesa sanitaria, Italia e in Campania, è il gorgo del debito pubblico, a causa degli sperperi e di un’insana programmazione, è anche vero che la dilatazione della suddetta spesa è un elemento fisiologico indotto dall’aumento della popolazione anziana. Ma il paradosso è che, con il passare del tempo e con il mantenimento degli attuali indici di natalità, saranno sempre più le persone di una certa età a doversi porre il problema di sostenere i costi sociali causati dall’invecchiamento. È il cane che si morde la coda. Se non viene costruito un percorso di ingresso per le nuove generazioni (anche per i cittadini stranieri che hanno scelto l’Italia come Paese in cui vivere) ci troveremo di fronte a due enormi montagne da scalare: da un lato diminuirà il gettito fiscale (al di là del malcostume dell’evasione e delle perdite generate dalla corruzione sistemica), colpendo drasticamente l’erogazione dei servizi, dall’altro gli istituti previdenziali non avranno le risorse sufficienti per garantire le pensioni. Certo, con il sistema contributivo si può ovviare al problema ma questo sarà possibile solo se la riforma del mercato del lavoro avrà un effetto di stabilizzazione del reddito precario nel medio e lungo termine. Cosa può fare un singolo comune di fronte a processi di così ampia natura? Leggendo i dati chi governa dovrebbe avere il coraggio di ristrutturare da un lato i servizi, avendo presente la crescita del numero di anziani, dall’altro rimodulare gli investimenti produttivi, abbandonando definitivamente l’ossessione per l’edilizia e puntare su nuovi settori strategici per attirare imprese innovatrici capaci di generare una nuova domanda di lavoro.