La processione del Mezzogiorno sconfitto

Sud

Sarebbe il caso di dire le cose come stanno senza girarci intorno e nobilitare l’argomento con riflessioni intellettuali che la questione non merita. Il tormentone della processione di San Matteo ci accompagnerà probabilmente fino ad ottobre abusando della nostra pazienza. Ma veramente vogliamo parlare dei portatori, delle paranze, delle minacce reali e velate, dei modi inurbani con cui si presentano in chiesa, del tifo da stadio per questo o quel prete, delle avance volgari nei confronti di una giornalista che scrive senza lasciarsi irretire dal plebeismo d’antan? Non sarebbe meglio andare direttamente al cuore della questione? Questi signori non sono forse la massa di manovra di un conflitto di potere tra l’amministrazione comunale e la Curia? Una spina nel fianco ad un Vescovo che, a differenza del precedente, non si è lasciato attrarre dalle sirene della Salerno europea? Che senso ha parlare di religione e religiosità in un simile contesto? È una farsa che solo in questa città, eternamente oscillante tra superficialità e ignoranza, può trovare spazio nella cronaca, diventando metro di paragone del sottosviluppo meridionale. Il gap con il settentrione è anche questo. Hai voglia a tirare fuori ricette per il Mezzogiorno quando ci si accapiglia ancora intorno ad una statua e al rispetto di tradizioni inventate negli ultimi vent’anni per mera propaganda politica. Del resto, come è stato scritto da autorevoli saggisti uno dei problemi del Sud è l’inadeguatezza della classe dirigente, specchio di una società in cui il potere reale (con i suoi mille risvolti sociali ed economici) prevale sul governo delle idee. Non accade solo nel Mezzogiorno, ma è qui che assume una dimensione concreta e palpabile persino nell’organizzazione di una manifestazione popolare.

Ma la Curia, se posso permettermi, ha commesso un errore. Di fronte all’incalzare delle pressioni ha reagito in maniera signorile consentendo agli interlocutori di conquistare le luci della ribalta. Le assemblee, i manifesti, le interviste e le dichiarazioni perentorie dei “fedelissimi” portatori sono la naturale conseguenza di una mancata azione “politica” da parte dell’autorità religiosa (dovuta, credo, alla volontà di non mischiarsi al marasma dei postulanti). Far trapelare la notizia che si è disposti a lasciare il Seggio in caso di sconfitta non aiuta, anzi eccita ancor più gli animi di quelli pronti ad impallinare Sua Eminenza pur di toglierselo dai piedi. La diatriba, visti i fatti dello scorso anno, andava chiusa in un minuto: il Vescovo, perché è suo precipuo compito, detta le regole, gli altri si adeguano e chi non ci sta è fuori. Che significa? Il santo esce dal Duomo solo a certe condizioni e se continuano le lamentele si impone il rispetto dell’autorità: si sciolgono le paranze e l’adorazione avviene nel tempio, così vediamo chi è veramente devoto. Cosa succederà? O si adegueranno o faranno una rivolta. Nel secondo caso il problema non sarebbe più di pertinenza della Curia ma della Prefettura poiché sarebbe in pericolo l’ordine pubblico durante un evento che coinvolge migliaia di persone di cui viene messa a rischio l’incolumità. Vi sembra una soluzione troppo rigida? Non credo. Bisogna smetterla con la storia delle regole valide solo per chi le rispetta e non per le minoranze rumorose che soffocano il diritto della maggioranza dei cattolici salernitani di vivere la festa in maniera sentitamente religiosa. Inseguendo queste ignobili vicende si rischia di perdere di vista l’obiettivo primario della dottrina sociale cattolica: aiutare il prossimo. Sarebbe necessario, in attesa di San Matteo, dare più spazio alle attività realizzate, per esempio, da un gruppo di donne e di uomini che da circa otto mesi, silenziosamente, raccolgono vestiario, medicinali e cibo per gli homeless della città. Invece di domandarci quale sarà la prossima mossa delle paranze pensiamo ad aiutare concretamente la Mensa San Francesco che rimarrà aperta tutto il mese di agosto per offrire un pasto caldo agli oltre duecento indigenti ormai divenuti “ospiti” abituali. Ai cattolici salernitani propongo di rispondere agli attacchi dei portatori con una gara di solidarietà per dimostrare qual è la vera religiosità e quali frutti può produrre. Così potremo dire che il divario con il nord è puramente una fattore di sottosviluppo economico, a cui il governo nazionale deve dare una risposta, e non anche una questione di civiltà.