La politica del "divismo"

divismo

Spesso quando scriviamo dei politici nostrani siamo influenzati dalla scia mediatiche di dichiarazioni e polemiche che offuscano la vera origine del personalismo eretto a regola della rappresentanza democratica. Cogliamo solo gli effetti finali, arrovellandoci dietro la psicologia e il carisma del leader, dimenticando che le attitudini “divistiche” discendono direttamente dal processo di modernizzazione che usiamo chiamare “miracolo economico”. È in quegli anni che si forma la retorica contemporanea del messaggio pubblicitario; un messaggio che si caratterizza per il suo essere spiraliforme: si avvolge su se stesso senza comunicare nulla di quanto pretenda. È una messa in scena di elementi, suggestioni, elementi che il pubblico già conosce e che vengono ripetuti proprio perché riconoscibili: il pubblicitario non vuole rivelarci nulla. Ma vuole che, sul gusto già saputo della reiterazione, si edifichi ossessiva un’immagine-ricordo, e che tra i ricordi appaganti se ne inserisca uno, associato insieme agli altri, legato a un prodotto. Nel 1968 Umberto Eco scrive: “… il linguaggio della pubblicità è un linguaggio che è stato già parlato, che ci parla da tempo, che si parla attraverso il pubblicitario che crede di inventarlo in quel momento. E quindi, utenti di un linguaggio che si parla addosso, noi non riceviamo da esso informazioni nutritive, dichiarazioni di novità inaudite, ma come l’etichetta, il richiamo convenzionato a un discorso già scontato”. Ora, seguitemi nel gioco, sostituite la parola “pubblicità” con “politica” e il termine “pubblicitario” con “politico”, nel senso di “uomo politico”. Rileggete adesso il testo con le due sostituzioni. Che sensazione avete?

A me pare di aver trovato la chiave d’interpretazione dell’universo politico contemporaneo: partiti, movimenti, associazioni (e i rispettivi leader) si limitano ad avvertirci, insieme a tutti gli altri, della loro presenza. Siamo alla funzione fàtica della politica. Ognuno esiste per ribadire il suo “Io sono qui”, generando un rumore assordante i cui tutti i messaggi si mescolano senza aiutare a scegliere uno piuttosto che un altro. L’unico effetto prodotto è la nevrosi da sovraesposizione mediatica. In tal senso il sistema politico italiano (almeno in Europa) è unico nel suo genere: derivando la sua rappresentanza dall’evoluzione della società dei consumi, ne ha incorporato le qualità; pertanto il suo obiettivo reale non è la propaganda del singolo “prodotto” ma la promozione dell’intero sistema. Insomma il messaggio non identifica un soggetto ma qualifica un ambiente. Per riempire questo vuoto diventa strategico il “divismo” personale: l’apparizione insistita dei personaggi politici sullo schermo o nella rete “garantisce la familiarità del “voluto-in-precedenza”; nell’apparente novità della forma comunicativa, ciò che essi sono ed implicano garantisce la riconoscibilità del messaggio. In essi, nel loro volto o nella loro silhouette, si riassume la formula, uno slogan, così come nello slogan si riassume una argomentazione, e nella forma esterna dell’argomentazione un sapere già scontato, già noto”. Più il “personaggio” è in grado di personificare lo slogan, facendolo circolare come tic linguistico, modo di dire, nuovo patrimonio gergale (#staisereno, #ciaogufi, #italiariparte, #italiacoraggio e così via – la questione non riguarda solo Renzi, ovviamente), più assume centralità perché tiene aperto il dialogo con gli elettori senza fornire un’informazione precisa. Un “eroe esile” il cui compito non è quello di anticipare il futuro con le idee, ma quello di eccitare immagini per dominare il presente. “Così facendo – scrive ancora Eco – questi personaggi sembrano colmare una profonda esigenza di un’epoca senza miti e senza eroi; ossessionata da fenomeni collettivi che non si possono riassumere nel volto di un eponimo… Ma con l’aver invaso i televisori, le pagine dei giornali, i muri delle città, hanno lasciato una traccia. Hanno indotto il bisogno di volti esemplari. Hanno rinfocolato l’esigenza di un esempio visibile e nominabile”. I politici avviluppati nella panacea dei mass media si presentano come “eroi” sostitutivi (come lo erano i personaggi di Carosello), ma a differenza degli eroi veri hanno la caratteristica malinconica di essere deperibili e soggetti a consumo, proprio come i prodotti della réclame.