La paura di cambiare passo

tribunale

Mentre il nostro si ergeva a paladino della sicurezza nazionale su La 7 – conquistando un rapito Salvini (forse stava pensando: “Ce l’avessi io uno così”) – nei pressi del trincerone si scatenava una rissa, provocata da un tentato stupro, che ha avuto termine con un duplice ferimento. La peggio l’ha avuta l’italiano andato in soccorso della donna che ha subito l’aggressione. Il contesto è sicuramente quello del disagio sociale che si genera e si stratifica in alcune fasce di migranti senza fissa dimora costretti, ormai, ad un destino di alcolismo senza ritorno. Si riuniscono a gruppetti – agli angoli di vie e piazze a ridosso del centro o delle strade commerciali desertificate, nottetempo, dalla chiusura dei negozi – per bere birra o vino scadente e basta un parola per eccitare la violenza indotta dall’alcool. Presenze inquietanti a cui non siamo abituati. È vero la sicurezza urbana riguarda innanzitutto la famiglia, ma esprime anche la qualità della vita di una città. Eppure, a mio avviso, è un falso problema agitato, a destra come a sinistra, soprattutto nei periodi di campagna elettorale. La leva di pressione la conosciamo: la paura; paura del diverso, paura dell’estraneo, paura dell’indigente. Un sentimento che accomuna e criminalizza tutte le persone fuori dal nostro controllo fisico, emotivo e culturale. Una paura cangiante la cui percezione modifica a seconda della collocazione sociale: un uomo tra i trenta e i cinquanta anni avverte timore per la propria incolumità in situazioni differenti da quelle in cui si sente insicura una donna ultrasessantacinquenne. Questo è lo iato esistente tra percezione della sicurezza e insicurezza reale. Negli ultimi vent’anni la nostra città, come ha confermato il Questore, è diventata molto più sicura ma la paura è aumentata. Perché?

La paura per la criminalità predatoria è il capro espiatorio di un fenomeno ben più grave: la perdita di fiducia nel futuro. Quella che un tempo si chiama insicurezza sociale è mutata in insicurezza civile generando una domanda di penalizzazione della diversità e della marginalità. Un effetto collaterale del collasso del Welfare state e delle conseguenti politiche di assistenza e integrazione della cosiddetta underclass. La sinistra parla a vanvera di “I care” e di ampliamento dei diritti civili ma alla fine dei conti riconcorre politiche liberiste che castrano le spese sociali. Lo abbiamo visto in questi anni: ci si proclama eroi per una condanna di primo grado, tesa a soddisfare gli appetiti del governo materiale, piuttosto che dare risposte alle tante e continue emergenze provocate da un modello di sviluppo obsoleto e super sfruttato da una classe dirigente cieca e terrorizzata dalla perdita delle rendite di posizione. Un modello basato sull’imperativo del “fare” che viene prima del rispetto delle regole. Mi torna alla mente una frase pronunciata, in dialetto, dal solito qualunquista di turno: “Non è grave se rubi, tanto lo fanno tutti, l’importante è che tu abbia fatto qualcosa per gli altri”. Questa è la logica che rende plausibile l’evasione fiscale e l’abuso edilizio quali strumenti permanenti della ricchezza nazionale. È ancora più grave se un simile modo di pensare si insinua nell’azione di governo di alcuni amministratori pubblici, arrivando persino a teorizzare che un rappresentante dello Stato può, anzi deve, disattendere le leggi della Repubblica per farla funzionare meglio. Qui non ci sono eroi, né vittime ma solo uomini che dovrebbero cominciare ad assumersi le proprie responsabilità storiche in una Italia in cui il concetto di legalità è sempre relativo, flessibile e malleabile a seconda degli obiettivi. Il cambio di passo non può e non deve venire dalla sentenza di un Tribunale ma da una scelta collettiva che, mettendo da parte gli ultras (favorevoli e contrari), dia corpo e sostanza a quanti credono ancora nella politica come missione di impegno civile corresponsabile. Solo allora si diraderanno le nubi che offuscano l’orizzonte e finalmente sarà possibile affrontare le sfide attese con il coraggio della prova rinunciando alla consueta furbizia del codardo. La paura del futuro si combatte progettando alternative e dicendo la verità, sempre. Chi si nasconde dietro l’allarme securitario ha il solo scopo di far dimenticare i propri errori.