La modernizzazione criminale

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Spesso mi si chiede quale sia, in concreto, il significato della modernizzazione criminale avvenuta nel corso del Novecento. Prendiamo la camorra, per esempio. I clan hanno sfruttato le rotte del contrabbando di sigarette per divenire uno dei principali player del commercio di stupefacenti; allo stesso modo le reti internazionali sviluppate con il mercato della contraffazione (i famosi magliari) sono diventate snodi di investimento nei paesi industrializzati e in via di sviluppo. I camorristi erano già lì quando l’impero sovietico si stava sgretolando da un lato in forza del processo innescato dalla Perestrojka, dall’altro a causa dei risorgenti nazionalismi. I magliari non vendevano più pezze infime, come se fossero tessuti pregiati, ma assumevano, in quel frangente storico, il delicato compito di mettere le mani (orientando gli investimenti) sui pezzi pregiati del patrimonio in dismissione dei paesi del socialismo reale, desiderosi di entrare nel magico mondo capitalista senza badare alla provenienza del denaro. Questo è ciò che è accaduto nella dimensione globale a seguito dei mutamenti storico sociali determinati dalla fine del comunismo e dall’affermazione del neoliberismo. È possibile fare un esempio concreto in ambito locale che riesce a far comprendere il termine di modernizzazione criminale? Ci provo. Lunedì ho letto su questo giornale di una retata compiuta nell’agro nocerino sarnese: sedici arrestati per associazione a delinquere. Organizzavano truffe e furti spacciandosi per operatori logistici: si presentavano, con credenziali false, alle ditte che richiedevano un servizio di autotrasporto, accreditandosi attraverso le piattaforme digitali del settore. Stipulavano un contratto falso e una volta ritirata la merce sparivano nel nulla con un doppio guadagno: il pagamento della prestazione effettuata e la vendita del carico rubato attraverso i canali della ricettazione. Perché ho scelto questo caso come prova della modernizzazione criminale in ambito locale? È presto detto.

Negli anni Settanta l’agro nocerino sarnese era conosciuto dai cronisti giudiziari per gli assalti ai tir sull’autostrada Napoli – Salerno. I banditi a volto coperto costringevano, pistole alla mano, il camionista a fermarsi e abbandonare il mezzo requisendolo. Dopo qualche tempo la merce sottratta riappariva per essere venduta all’ingrosso o al dettaglio da esercenti compiacenti o collusi. I consumatori ignari (ma non sempre) erano ben lieti di poter comprare prodotti di marca a prezzi “stracciati”. I banditi effettuavano le rapine e la camorra piazzava la mercanzia; anzi questo era un sistema per accumulare denaro (insieme al pizzo) da reinvestire in ulteriori affari leciti e illeciti. Quali sono i cambiamenti intervenuti in questa modernizzazione? Il primo è la diminuzione del tasso di violenza (non ci sono più le pistole); il secondo è la sostituzione del reato on the road con l’uso sapiente delle infrastrutture cibernetiche (siti internet, mail, deviazioni di chiamate, falsificazione di documenti digitali, ecc.); il terzo è l’evoluzione del contesto: non più bassa manovalanza criminale, pronta a subire la galera per rapina a mano armata, ma colletti bianchi che gestiscono imprese commerciali illegali, rischiando al massimo l’imputazione per truffa, furto e ricettazione. Se prima le bande tendevano l’agguato nella propria zona (come pistoleri del far west all’assalto della diligenza), ora l’azione criminale si muove sull’intero territorio nazionale operando con aziende fasulle che rilevano la merce direttamente dalle mani dei produttori. Una domanda rimane, al momento, inevasa: chi ha messo i capitali per montare una simile organizzazione che poteva disporre di risorse umane di alta e bassa qualificazione, di numerosi mezzi di trasporto e basi logistiche operative? Meno rischi e maggiore produttività sembra essere la regola della modernizzazione mafiosa, come hanno insegnato i casalesi con l’affare rifiuti.