La mestizia di Tonino

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Dopo alcuni mesi di silenzio, il mio amico Tonino è tornato a farsi vedere. Dice che ha avuto da fare. Credo, invece, che ci sia rimasto male quando ha compreso che la candidatura di Bassolino a Salerno era solo frutto della sua immaginazione. Ha fatto finta di niente, come un animale che si sveglia dal letargo. È sconsolato ma sereno, perché le luci d’artista gli mettono agitazione. Una volta spente torna alla vita normale. In questi giorni di sole è andato spesso a Santa Teresa mescolandosi alle mascherine. Gli piaceva fare finta di essere il nonno, che non è mai stato e mai sarà, di tutti quei bambini allegri. Tonino, lo intuisco dallo sguardo, sente ancora di poter dare molto agli altri e alla sua città. Ma c’è qualcosa nel fondo della sua generosa anima che lo turba. Ultimamente si è trascinato allo stadio senza entusiasmo. Si piazza sugli spalti e guarda le coreografie senza batter ciglio. Ascolta i cori senza trasporto e fissa il prato verde come se i ventidue calciatori fossero stati inghiottiti in una dimensione parallela. Una Salerno uguale alla sua, in tutto e per tutto, ma diversa. Anche ora, di fronte a me, ha le spalle curve e mi osserva senza vedermi. Gli domando: “Tonino cosa è successo?” e lui, come un bambino imbronciato e dispettoso, risponde: “Niente!”. Ha il volto tagliato dalla mestizia. Per la prima volta mi appare come un anziano rassegnato, lontano anni luce dal combattente che prendeva fuoco in un decimo di secondo. “Mi fa male vederti perduto, mi sembra di parlare ad un altro uomo”, gli dico.

“Marcello, sono un altro uomo. Mi sono reso conto che questa città è condannata a girare a vuoto su se stessa, senza nessuna possibilità di mutare scenario: i padri, i figli, i nipoti e poi gli arrabbiati, gli esclusi e ancora gli opportunisti, i lecchini, gli inutili tutti in fila ordinati per condizione, professione, censo e flessibilità morale. Anche gli integerrimi non hanno più valore: stanno lentamente asfissiando nella loro bolla etica senza ossigeno. Hai presente il mio quaderno con le proposte programmatiche?”. “Certo, lo ricordo”, ribatto. “Ebbene, l’ho mostrato a chi governa e a chi si oppone. In entrambi i casi sono stato messo alla porta come un appestato”. “Cioè?”, chiedo meravigliato. “Da cittadino non schierato, ma cosciente, ho ritenuto di doverle sottoporre a chi si candida per discuterle. Mi sembravano utili per migliore la vita collettiva. Purtroppo nessuno è riuscito a mettere da parte la propria appartenenza partigiana. Tutti bloccati e atterriti dalla paura di perdere una posizione di potere o di non poter rappresentare l’alternativa. I giocatori in campo sono talmente avvelenati dalle parole della propaganda (pro o contro) da non riuscire a vedere ciò che accade oltre le loro casacche. Volevo dare una mano, aiutare a riflettere trovando delle convergenze, nelle differenze, per tornare ad essere una comunità e non una società divisa in caste. Niente da fare. I governanti ti considerano un nemico, gli oppositori ti deridono come un servo sciocco. Allora, non mi rimane che il silenzio. Resto alla finestra. Me lo posso permettere perché ho un lavoro sicuro e una pensione che mi attende. Ma gli altri? I precari, i giovani, le famiglie povere, gli anziani non autosufficienti sono in balia di questi e di quelli senza voce in capitolo, eternamente in attesa di trovare la persona giusta a cui chiedere la raccomandazione in cambio di un diritto. Tutti con il fiato sospeso finché non tuonerà, ancora una volta, la voce del padrone, nuovo o vecchio che sia. Che città è questa? In che era siamo? Quanto ci è costata questa specie di libertà? È questa la democrazia del XXI secolo?”. Tonino tace e continua ad osservare nel vuoto. Sembra aspettare delle risposte alle sue domande, non da me, ma dal suo cuore.