La legge elettorale e le sue conseguenze

di Carmine Pinto
Giuseppe Saragat diceva che le cose chiare e semplici sono sempre le migliori. Una considerazione utile per comprendere il dibattito sulla legge elettorale. Non si tratta di affrontare noiosi tecnicismi. I caratteri della crisi che il paese vive da tre anni hanno mostrato l’assoluta inadeguatezza del sistema politico e della classe dirigente emersa nel1992-94. Questo dato è stato fotografato dai fallimenti dei governi Prodi (2008) e Berlusconi (2011) e dall’insufficiente globalizzazione del paese negli ultimi quindici anni. La mancata normalizzazione del sistema politico, stabilizzando un’alternanza tra socialisti e popolari come nel resto d’Europa è solo la conferma di una modernizzazione fallita.

Il problema della legge elettorale è un parametro cruciale per misurare lo sviluppo della crisi italiana. Le parole di Saragat sono le più efficaci. In molti paesi europei si vota con il proporzionale. Ognuno ha le sue peculiarità ma, bene o male, le linee sono comuni. Il modello proporzionale è in genere accompagnato da uno sbarramento per impedire la frammentazione (di solito intorno al 5%) e dalle preferenze (singola o multiple), a volte con un premio di maggioranza. Funziona bene, da decenni, in Germania, Spagna, Francia (solo per elezioni regionali e locali) e diversi altri paesi. L’uninominale è applicato a turno unico in Inghilterra o a doppio turno (solo per le politiche) in Francia e altri paesi, a volte con premi di maggioranza, quasi sempre senza, senza nessuno scossone. In Italia si è votato con il proporzionale a preferenza multipla per cinquant’anni senza grandi difficoltà. Insomma i sistemi semplici, sperimenti ovunque, anche nel nostro paese, non necessitano particolari alchimie.

L’atteggiamento dei parlamentari italiani, di fronte a questo scenario, fa rabbrividire. C’è voluta quasi una minaccia del Presidente della repubblica e l’impressionante pressione di media e opinione pubblica per mettere mano alla riforma. Sono state avanzate proposte ridicole, in un caso addirittura una soluzione ibrida di questo tipo: metà parlamentari nominati dalle segreterie dei partiti, metà eletti in super collegi uninominali. Anche qui le valutazioni chiare e semplici sono le più adatte. Gran parte degli attuali parlamentari sono stati nominati, molto spesso per semplici amicizie o simpatie personali e affettive, quasi sempre per fedeltà correntizie, probabilmente in grandissima parte non sarebbero mai stati eletti se gli elettori potevano deciderlo con preferenze o collegi uninominali. Quindi non volevano perdere uno scranno che gli era stato regalato.

Il problema non può ridursi a una semplice combinazione di tecnica elettorale ed auto conservazione della classe dirigente (il silenzio della deputazione parlamentare campana resta assordante, pur con qualche eccezione). L’unica possibilità per il Mezzogiorno nei prossimi anni è il rinnovamento della classe dirigente e, soprattutto, la sua interlocuzione concreta con i territori. Togliere al sud la possibilità di pesare attraverso il voto ha significato da un lato rafforzare la sua marginalità in Italia e in Europa, dall’altro far emergere il ceto politico meno qualificato e rappresentativo. Nelle prossime settimane quindi bisognerà discutere per ribaltare questo scenario, la partita del nuovo sistema elettorale e la scelta dei candidati del 2013 sono un passaggio decisivo per i prossimi dieci anni. Non i solo i partiti, ma tutte le forze vive della società dovranno assumere le proprie responsabilità.

pubblicato su "la Città" del 4 agosto 2012