La grande bolla dell’edilizia a Salerno

di Carmine Pinto
Fino a due anni fa per comprare una casa a Salerno ci voleva quasi il denaro di Roma o Milano. Il metro quadro saliva alle stelle, la sbornia della costruzione faceva immaginare guadagni ininterrotti e sviluppi tentacolari dell’area metropolitana. Poi, una terribile doccia fredda ha riportato tutti alla realtà, ma le conseguenze profonde non sono ancora chiare. La trasformazione sociale ed economica di un paese è sempre stata accompagnata dall’urbanizzazione. Basta guardare la Campania, Napoli o Salerno. Il miracolo economico degli anni cinquanta fu associato alla più grande espansione delle città, con i tremendi scempi che ancora oggi devastano le devastano, ma anche con l’urbanizzazione del nuovo ceto medio italiano.

Un modello di questo tipo necessita alcune condizioni: prolungata crescita economica, trasformazione di settori disagiati in ceto medio, aumento esponenziale della popolazione, tenuta dei prezzi e del prestito bancario, opere pubbliche finanziate dai proventi dello sviluppo. Quando mancano queste linee si crea la bolla, l’economia si gonfia, diventa falsa e quando scoppia la bolla, le conseguenze sono quelle di oggi in Campania. Una recente ricerca della Feneal UIL ci offre dati impressionati: nell’ultimo anno sono fallite 495 imprese edili, 19 grandi opere sono restate incompiute, circa 30.000 lavoratori sono licenziati o in cassa integrazione, il numero di mobili invenduti è immenso anche se da quantificare, ma i soldi comunque mancano alla gente. Solo a Napoli l’ultimo dato disponibile parla di 3000 sfratti!

Gli elementi disponibili sulla nostra provincia mettono in discussione la tenuta dell’apparato produttivo. Prendiamo ad esempio il capoluogo. La crescita della popolazione è sempre il primo parametro. Salerno ha avuto una impennata solo nel 2007 (quando è stata tolta l’ICI sulla prima casa e alcune migliaia di persone hanno preso la residenza). Nei dati ISTAT la città passa dai circa 160.000 abitanti del 1980 agli attuali 139.000. Ci sono poi elementi socio politici evidenti: il ceto medio è il principale fornitore di emigrati: i laureati che vanno via e non moltiplicano quella classe sociale che da sempre promuove sviluppo urbano (né possono avere prestiti bancari). Inoltre la prolunga esclusione di questa fascia (20-40 anni) dalla possibilità di diventare protagonista in una società definitivamente bloccata dai sessantenni almeno per altri 10 anni, ha come risultato che le uniche case comprate dai giovani sono quelle pagate dai loro padri. I prezzi, in calo, tengono solo perché gonfiati, ma il numero dei vani invenduti o incompleti cresce a vista d’occhio.

Infine la crisi economica  ha demolita la condizione fondamentale della bolla, l’idea di una espansione edilizia gonfiata anche in una fase di lenta crescita. Quando questa si interrompe (crisi mondiale del 2009) le conseguenze della speculazione edilizia producono effetti devastanti. Basti pensare al crollo del 1929, iniziato con la fine del boom delle case in Florida. La verifica locale è davanti ai nostri occhi:  6000 dipendenti in meno tra il 2007 e oggi nel comparto edile salernitano, il suolo deturpato in molte aree della provincia, gli investimenti fermi e i fallimenti a catena. Il prezzo delle case potrebbe definitivamente crollare dopo le nuove rate dell’IMU, il progredire della crisi fiscale, la chiusura di altre imprese e la definitiva diaspora dei giovani disoccupati. Il problema non si può eludere né limitare ad una analisi critica. Serve subito una nuova politica per l’edilizia. Tagliata sulla realtà: ristrutturazioni di aree urbane ed interne, recupero del territorio, investimenti internazionali, opere pubbliche misurate, modernizzazione dei servizi. Un dibattito serve ma, a sei mesi dal voto, non si sente neppure un fischio ma solo disperati silenzi di chi vuole a tutti i costi restare in parlamento.

pubblicato su "la Città" del 28 luglio 2012