La cultura? Una scienza - quasi - esatta. Dall'evento al suo "racconto"

58 è il posto assegnato alla provincia di Salerno da “Io sono cultura”, il rapporto che ogni anno la Fondazione Symbola insieme a Union Camere redige sulle imprese culturali del paese; siamo prima di Napoli ma dopo Arezzo, Pordenone, Asti e anche dopo Avellino, Potenza, Lecce. Eppure, si è appena chiuso a Salerno un festival di letteratura sul modello di Mantova; l’estate pullula  di eventi da una costa all’altra,  veniamo bombardati da messaggi sulla “città europea” ma non riusciamo a ritagliarci un posticino al sole nel panorama culturale italiano. Qualcosa evidentemente non funziona e non è più una questione di qualità della proposta quanto della capacità di gestire in termini innovativi – ed economici - una offerta culturale. Perché questo è lo scopo del rapporto sulla cultura, misurarne il valore aggiunto. Nel 2012 nel settore privato tale valore  ammonta a 75,5 miliardi di euro, pari al 5,4% del totale dell’economia, un risultato enorme rispetto alla crisi, in un sistema che  occupa  un milione e 397mila persone, cioè il 5, 7 % del totale. Cos’è che concorre a tanta bontà? Le industrie culturali e creative, dette anche ICC: cinema, video, radio tv, design, architettura, artigianato, editoria, arti visive e performative, patrimonio.  Si calcola che per un euro investito, ne ritornino 1, 7 e quindi 80 miliardi prodotti  nel 2012  ne hanno attivato 133,4 con una filiera culturale di 214,2 miliardi di euro.  Un valore che  si trascina dietro commercio, trasporti, edilizia, agricoltura e turismo. Infatti sulla spesa turistica il 36% riguarda quella attivata dalle industrie culturali. Ma appunto: si calcola, si misura, si valuta. Nascono in giro gli incubatori, gli hub, i “talent garden”, le organizzazioni di “coworking” si fanno reti e distretti, consorzi; si diversificano i finanziamenti non più e non solo dalla pubblica amministrazione e si misura l’impatto di un evento con il suo territorio. In altre parola la cultura diventa una scienza, se non esatta, certamente analizzata con nuovi strumenti.  Il Festival di Mantova, tra i pionieri di questa nuova stagione e a cui si è ispirato Salerno Letteratura, nacque proprio così nel ’97, dopo una indagine della Regione per verificare le potenzialità di rilancio di alcune città lombarde. Il Festival della Mente di Sarzana ha fatto analizzare dalla Bocconi la redditività del proprio investimento verificando che per ogni euro speso, la città ne ha guadagnati otto. Su ognuna di queste attività (che in Italia stanno diventando una grande tendenza) è stato messo in campo quello che si chiama crowfunding,  e cioè la possibilità di trovare fondi nella “folla” degli utenti. In qualche misura Salerno Letteratura si è mosso in questa direzione, radunando vari sponsor ma nessuna valutazione né ante né post è stata fatta, nemmeno artigianale e sommaria: quanti eventi, quanto pubblico, quanti soldi, quanta occupazione. La stessa afasia, più grave se si considera che uno dei partner è l’Università, ha colpito la Fondazione Salerno Contemporanea con il Teatro ex Salid o Ghirelli dove, oltre a macroscopici errori di comunicazione, la stagione si è chiusa senza alcun report nemmeno al pubblico dei suoi abbonati. Né d’altra parte la Regione – che pure gli strumenti di monitoraggio li avrebbe - si è fin qui preoccupata di valutare l’impatto economico  delle attività culturali dei Por 2007-2013. Insomma in un momento in cui le aziende culturali possono essere protagoniste di un forte cambiamento, le nostre attività restano lontane da qualsiasi rinnovamento.   Altrove la crisi ha aguzzato l’ingegno verso una  ‘progettualità di sistema’ di cui è nato qualche esempio nel napoletano (come il Consorzio arte’m net di Santa Maria Capua Vetere o L’Altra Napoli)  e dove si è riusciti a concentrarsi su alcuni punti focali: la forza di aggregazione di una  comunità, l’ evento come motore di un intero sistema socio-economico. Non basta più realizzare delle belle idee, bisogna anche essere capaci di raccontarle: l’evento è economico e sociale, la “rete” è il tessuto di relazioni virtuose che si instaurano tra le persone: attori + fruitori+ collettività. Come hanno capito a Giffoni dove il Festival è diventato, non a caso,  “experience”.