La crisi del teatro? No, è la crisi dei teatranti

giardinoUna volta la crisi del teatro, quella su cui ironizzava feroce Achille Campanile (“La crisi del teatro risolta da me”) , era una crisi di valori estetici e morali. Oggi è la stessa dell’azienda Italia,  una crisi essenzialmente finanziaria. Non c’è più Stato, sempcemente; è venuta meno la risorsa pubblica, ciò che per anni ha tenuto in vita il teatro italiano. Non solo quella garantita dal Ministero e dal Fus (Fondo unico per lo spettacolo) che con i suoi pesanti requisiti,  ha sempre operato una selezione “a monte”, privilegiando nei fatti i più forti e la cui progressiva decurtazione ha inciso relativamente, falcidiando i più deboli che timidamente si erano affacciati a lambire il Fondo; quanto  la drastica caduta delle risorse locali, quelle stesse che hanno reso possibile l’attività teatrale nelle città, nei paesi, sul territorio. Ma se questo è vero in generale, soprattutto riguardo ai comuni, in molte regioni italiane ciò non è avvenuto affatto e le risorse sono in qualche caso addirittura  aumentate. E’ il caso di Napoli, dove il ricco Festival teatrale si moltiplica in produzioni internazionali, in un proliferare di eventi che se la sbattono della crisi, a meno che non siano tutti frutto di un gigantesco volontariato. Se a Roma la crisi è davvero drammatica, tra la caotica gestione comunale, sale che chiudono e la vituperata occupazione del Valle, resta tuttavia forte la sensazione che l’intero dibattito (Valle o non Valle) resti in gran parte autoreferenziale e chiuso nell’ ambito degli addetti ai lavori della città; tra critici che si muovono imperturbabili sui diversi registri di lotta e di governo e organizzatori in difficoltà perché magari hanno perso questo o quel festival senza riuscire nessuno di loro a tirarsi fuori dal festival dei luoghi comuni. E’ giusto, come titola oggi, Il Manifesto.info con l’intervista di Stefano Croppi a Natalia di Iorio, “ridare il teatro in mano ai teatranti” ma c’è da chiedersi chi mai lo abbia tenuto in mano in tutti questi anni se non i teatranti medesimi. Il Teatro Eliseo, pur dichiarando il suo direttore di avere all’ attivo ricavi per 6 milioni di euro, rischia di passare di mano e non se ne riescono a comprendere le ragioni se non che si stiano affacciando nuovi soci con una cordata di cui fanno parte persone che con il teatro ci hanno passato una vita (il figlio di Enzo Gentile, che per anni ha gestito l’ATAM, il circuito abruzzese e Pino Ferrazza, già funzionario del ministero, presidente dell’ Eti, titolare di varie cariche nel teatro pubblico italiano); lo stesso direttore Monaci è presidente dell'AGIS Lazio, l'associazione di categoria che annovera tra i propri associati 80 teatri, 45 compagnie di prosa. Lo stesso dicasi per il Teatro Quirino, anch’esso rilevato dopo la chiusura dell’ETI da una “famiglia” di teatranti come quella di Geppy  Gleyeses. Egualmente da un teatrante come Luca de Fusco, già direttore dello Stabile del Veneto è gestito il Napoli Teatro Festival, dalla gestione milionaria che coincide con la direzione dello stabile napoletano Mercadante e con il premio Le Maschere del Teatro, le maschere del teatro italianocon una giuria composta da 14 giurati, tutti in gran parte teatranti e critici, che si assegnano premi tra loro: Gianni Letta,  politico che  da anni segna le sorti di molte nomine di peso nel teatro italiano; Luigi Grispello, oggi presidente Fondazione Campania dei Festival, ma da anni presidente dell’Agis Campania; Carlo Fontana, presidente Agis, Giulio Bafficritico teatrale, Marco Bernardi,  direttore Teatro Stabile di Bolzano, Maricla Boggio,  drammaturga, già presidente della Siad, gruppo che riuniva gli autori italiani, già docente all’Accademia d’arte drammatica, un feudo da quel dì dei teatranti socialisti; Emilia Costantini, giornalista e critico del Corriere della Sera, Masolino D’Amico,  critico a La Stampa, Maria Rosaria Gianni, capo redattore cultura Tg1, Enrico Groppali , critico di Il Giornale, ancora Massimo Monaci,  direttore dell’ Eliseo, Andrea Porcheddu, critico d’assalto di LEBENSRAUMrinnovare il proprio stile dialogando con i ‘grandi’”. Tra questi metteremmo certamente i Babilonia Teatri, o i ragazzi di Scena Verticale gruppi che da soli e da luoghi di provincia hanno conquistato postazioni “adulte”. La crisi del teatro in Italia è quindi crisi dello Stato e chi da decenni ha vissuto di questo rapporto simbiotico,  oggi ne paga le conseguenze ma è anche una crisi degli uomini e delle donne che ne hanno fatto parte. E’ una mentalità che deve cambiare, che deve operare anche essa una “rottamazione” di se stessa, delle proprie certezze, dei propri punti fermi, perché se non c’è più Stato, anche il teatro deve mutare forma. A Napoli per “Il sindaco del Rione sanità”, tra i pochi testi di Eduardo nel dilagare cechoviano del Festival, hanno chiamato una ottantina tra i migliori attori napoletani, valutati dal regista Sciaccaluga  per poi scegliere due attrici, e c’è da chiedersi perché si debba  umiliare il teatro napoletano in questo modo  Scrive ancora Fiore sul blog Controscena:  “Dei 36 prescelti per le dodici categorie in gara per Le maschere del Teatro”,  “ben 15 (quindici) sono riconducibili a De Fusco nella sua triplice veste di regista, direttore del Teatro Stabile di Napoli e direttore del Napoli Teatro Festival Italia. E ben 7 hanno preso parte all’allestimento di «Antonio e Cleopatra» coprodotto dallo Stabile napoletano e dal Napoli Teatro Festival Italia”. “Non sarebbe più esatto- si chiede il critico sommessamente -  chiamare il Premio in questione «Le Maschere del Teatro Napoletano di De Fusco»? Forse più che sommessamente, bisogna alzare la voce, cominciando col dire che il teatro è sempre stato in mano ai teatranti, i quali sono certo gli unici legittimati a continuare a gestirlo ma forse è per questo che non sta tanto bene.

Nelle foto immagini dal Napoli Teatro Festival 2014 e la giuria di Le Maschere del Teatro