La congiura dei baroni

foto Massimo Pica

Questa settimana si è parlato molto dell’incontro tra il sindaco di Salerno e l’ex sindaco di Napoli. Un giornale locale ha usato toni epici per esaltare il compromesso storico. Più che la presentazione di un libro sembrava il racconto di un summit dei tempi della Guerra fredda, quando il presidente Usa e il segretario del Pcus si riunivano davanti a giornalisti e fotografi per dichiarare la riduzione dell’arsenale di guerra: meno bombe, più dialogo. La storia, però, ci ha insegnato quanto quelle dichiarazioni fossero retoriche e prive di atti concreti: ancora oggi il globo terrestre è una potenziale polveriera nucleare. Mi sono chiesto, come molti, la ragione di una simile scelta e perché il canuto napoletano abbia compiuto il fatidico passo sceneggiando la pace con l’antico compagno/rivale. Tra i due, pare, si sia stabilita un’intesa a medio termine: il salernitano rinforzerebbe, accanto alla candidata Petrone, un paio di sodali dell’uomo di Afragola (consentendo alla moglie di quest’ultimo di entrare al Parlamento) in virtù di un determinate sostegno per le prossime regionali. Cosicché, una volta raggiunta la poltrona di S. Lucia, l’aspirante governatore userebbe la sua influenza per restituire al nemico, divenuto amico, lo scranno più alto del comune di Napoli.

Da quando Leoluca Orlando ed Enzo Bianco hanno riconquistato, dopo dieci anni, Palermo e Catania l’ex presidente della Regione ha cominciato a smaniare per ottenere la sua riabilitazione passando attraverso una nuova stagione sindacale. Del resto è pur sempre il simbolo del rinascimento napoletano. Fin qui la strategia dei due boiardi comunisti non fa una piega. Tuttavia, sono perplesso sul perché il lucano/salernitano abbia accettato il patto pur essendo in una posizione di forza rispetto al suo interlocutore. La decisione, con ogni probabilità, scaturisce da una duplice valutazione: da un lato l’aver capito che senza i voti dei napoletani non è possibile espugnare il palazzo della Regione (provenendo da una città di soli 120mila abitanti); dall’altro la consapevolezza di aver incassato una sconfitta sul piano nazionale (la mancata nomina a viceministro). Se così fosse l’accordo nascerebbe dall’addizione di due debolezze. Entrambi hanno sostenuto Renzi ma non hanno ricevuto in cambio l’agognato premio; anzi il segretario ha usato il consenso plebiscitario per instaurare una monarchia assoluta che ha spazzato via le logiche feudatarie del Pd. I nuovi leader democratici risplendono solo se illuminati dalla luce solare del segretario/premier. I due, sentendosi traditi, provano a giocare la loro carta: come due vecchi baroni si alleano per tramare contro il monarca (proprio come fecero i Sanseverino a Teggiano, alla fine del XV secolo, opponendosi alla modernizzazione imposta dagli Aragonesi). Uniscono le truppe per conquistare la Campania e costringere il signore di Firenze a patteggiare. Non si tratta di una novità, già i democristiani avevano effettuato un’identica manovra qualche decennio fa. Non so voi cosa possiate pensare, ma questa operazione di lifting politico a me pare ridicola. Per quanto mi sforzi riesco a vedere solo due ultrasessantenni che, con un manipolo di bravi, provano a sfidare il monarca (più giovane di loro di quasi trent’anni) e le sue schiere per ristabilire il sistema feudale. Se questa è la politica della terza Repubblica siamo fottuti.