La città "ambientalista" tra ritardi e fantascienza

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Ieri e stamattina a Salerno, “la città più ambientalista d’Italia” – nella definizione del più autorevole “profanatore” del paesaggio – due Comitati cittadini (“Prima di ogni cosa la vita” che difende le frazioni alte dall’inquinamento della Fonderia Pisano, e “Giù le mani da Piazza Alario” che si batte contro lo sventramento dell’omonima storica Piazza che si vorrebbe destinare a 90 box auto e 170 stalli in un parcheggio multipiano) si sono affidati alla buona musica, prima di far cantare la carta bollata. Una parte di città – che non si sa quanto pesi in voti – rifiuta, si oppone e combatte l’idea che l’amministrazione possa ascoltare sempre e solo i variegati interessi della maggioranza che la vota, e mai o quasi mai quelli materiali e immateriali della minoranza che vanta pari diritti di cittadinanza in quanto contribuente comunale. Per cui appare strano che nella predetta “città più ambientalista d’Italia” si lascino passare 10 anni per rendersi conto che la Fonderia Pisano non è compatibile con l’insediamento antropico. E ci si chiede: come mai, quando si doveva costruire la LungoIrno non ci furono problemi a delocalizzare nella zona industriale la Fonditori Salerno Spa, storica fonderia della Valle? Forse un’opera pubblica (per quanto strategica) “vale una Messa” e la salute e la vita dei cittadini esposti ai fumi nocivi della fonderia no? Senza convincenti spiegazioni pubbliche, si alimentano solo sospetti. E il sospetto che la nobile e coraggiosa battaglia civile di Martina Marraffa e dei cittadini che la sostengono sia il paravento dietro al quale si celano e spingono interessi economici di costruttori e aziende che nell’area stanno investendo milioni di euro ci può stare, se l’amministrazione nulla chiarisce, mentre la massiccia cementificazione di via dei Greci avanza a vista giorno dopo giorno. E senza definitiva chiarezza da parte pubblica prima del voto sul destino di quell' area una volta liberata della fonderia, resta il sospetto che anche in questo caso si voglia correre per dare uno sbocco edilizio (del resto previsto dal PUC) a parte significativa dei 180 mila mq. del suolo di risulta dell’impianto (magari dopo sbrigativa bonifica). E il quadro non migliora se dal primo (più importante) tema della protesta civile che attraversa la città si passa al secondo, dov'è impegnato il Comitato “Giù le mani da Piazza Alario” presieduto dal Maestro-liutaio Ciro Caliendo. Sulla Piazza tra via Indipendenza e via Sabatini esisteva un progetto della Gemar Spa di Piano di Sorrento. Quel piano, che prevedeva la costruzione di box auto in elevazione con accessi da via Porto e via Sabatini, era già stato bocciato dalla Soprintendenza nel dicembre del 2014 con la motivazione che «l'intervento introduceva elementi detrattivi ai tratti distintivi storicamente acquisiti della piazza». Sennonché a far riaprire il discorso intervenne la legge 164 dell’11 novembre 2014, che convertiva il Decreto-legge 133 passato con il nome di “Sblocca Italia”. Un passaggio di quella legge prevedeva la possibilità – di cui l’impresa proponente chiese subito di avvalersi – di “sbloccare il progetto perché per l’ente doveva essere catalogato come un insediamento produttivo strategico di interesse nazionale”. L'intervento fu così in qualche modo rivisto dall’impresa. La Soprintendenza suggerì o ottenne modifiche che valutò sufficienti a caducare il precedente diniego (espresso da altro Funzionario) e in data 28 ottobre 2015 approvò definitivamente il progetto, prendendo solenne impegno di “esercitare il controllo di alta sorveglianza durante la fase esecutiva dei lavori”. Anzi si spinse a fare di più, suggerendo al Comune di valutare l’inserimento nel nuovo giardino di “pannelli didattici oppure di sistemi multimediali in grado di produrre opportuni temi e itinerari di natura culturale utili per la fruizione della città storica”. Roba da fantascienza, insomma, che ricorda da vicino il famoso Polo didattico di cui si blaterava nell'aggiudicazione della gara per il Parco fotovoltaico in Monte di Eboli, alla fine dato per disperso. Insomma, a parte la risibilità della qualifica di “intervento strategico di interesse nazionale” (di cui un povero parcheggio non potrebbe che andare fiero) che ci fa il Comune con 150 stalli in più (al netto degli esistenti che andranno distrutti) quando 100 metri più a valle nella Grande Piazza Rossa se ne stanno costruendo 700, e quando se ne potrebbero ricavare di più altrove (ammesso se ne debbano ancora costruire nei centri-storici che andrebbero liberati dalle auto, visto che la legge Tognoli n.122 di incentivazione dei parcheggi è del 1989)? E se poi il Comune facesse con Piazza Alario quello che ha fatto con i parcheggi interrati di Piazza XXIV Maggio, prima costruiti e poi messi in vendita? Alé, Alario, resisti finché puoi. Dalla tua hai la storia. E loro solo vanae gloriae cupiditas.