La centralità sociale di Podemos

Podemos

Non ho dubbi nell’affermare che se vivessi in Spagna sarei attratto da Podemos. Mi alletta l’idea di poter conquistare, singolarmente e collettivamente, posizioni post ideologiche, senza dover rinunciare alla giustizia sociale. Non solo. È affascinante anche la ricongiunzione tra sfera intellettuale e azione politica. Il gruppo che ha dato vita al soggetto politico è composto da docenti, ricercatori e precari della Complutense (il campus universitario di Madrid) appartenenti in gran parte alle facoltà di sociologia, scienza della politica e filosofia. Non disdegnano di citare, quale fonte d’ispirazione, i testi di Gramsci, Spinelli, Pasolini e Bobbio, oltre a riferirsi alle più innovative esperienze di governo dell’America latina (la Bolivia di Morales e l’Ecuador di Correa). Con orgoglio affermano di aver costituito un partito pensato con la logica del movimento: c’è un segretario, un vice, una segreteria, una direzione ma la scelta delle cariche avviene tramite il web, così come le iscrizioni. Usano, inoltre, il crowdfunding come forma di finanziamento elettorale. Sono critici verso l’Unione europea ma non sono euroscettici, né schierati contro la moneta unica. Il comune dominatore che li ha uniti è un’analisi “scientifica” e spietata delle trasformazioni sociali avvenute con la globalizzazione; una critica, interventistica e non platonica, divenuta urgente di fronte al montare della corruzione, delle caste di privilegiate e del sequestro di sovranità nazionale da parte di poteri economici extraterritoriali.

È, dunque, un partito alla cui base c’è una preparazione culturale che ha consentito di compiere una diagnosi del divenire storico post novecentesco (il secolo delle ideologie): è terminata l’era del centralismo politico, come luogo di equilibrio tra forze contrapposte, e si è aperta la fase della conquista della centralità sociale in cui diviene essenziale il conflitto che, privato dell’additivo ideologico, smorza eventuali estremismi sfociabili nella lotta armata. Del resto, la Democrazia è scontro tra posizioni diverse che aspirano ad ottenere un consenso maggioritario nel rispetto delle regole costituzionali. Il fulcro della battaglia di Podemos è la contrapposizione all’egemonia del pensiero neoliberista che ha condizionato negli ultimi quarant’anni persino il modo di pensare e gli atteggiamenti quotidiani. Gli alfieri dell’austerity ci hanno convinto che l’unica società possibile sia quella dell’egoismo e della competizione; ci hanno persuaso che il privato sia migliore del pubblico (ma ovunque in Europa le privatizzazioni hanno comportato aumento dei costi e diminuzione dei servizi) e che il solo modello di vita ideale sia quello del desiderio di consumo. Insomma, leggendo le tesi di Podemos mi è parso di sfogliare un libro di Bauman o di Bourdieu e di ritrovare le tesi storiche di Judt sulla sconfitta antropologica della sinistra europea che, folgorata sulla strada dei mercati finanziari, ha immaginato di poter realizzare un “neoliberismo social”, ovvero un ossimoro indigesto da cui, in Italia, ha preso forma il Partito democratico. Un cartello elettorale che si attarda ad inseguire il centralismo politico perdendo di vista la centralità sociale. Come si combatte l’egemonia culturale del neoliberismo? La strada indicata dagli spagnoli è chiara: sfruttare i social media, con una narrazione alternativa, per aggirare la barriera ideologica e di potere dei media Broadcast (controllati da monopoli privati o dai governi in carica). Aumentando il flusso delle informazioni sui canali informali, facendo rimbalzare le notizie tra new e old media, si può passare dalla scena underground a quella mainstream raggiungendo il grande pubblico distante, e deluso, dalla politica. Si tratta, in soldoni, di riconiugare il sentire comune e la rappresentanza democratica occupando uno spazio (l’enorme area dell’astensionismo), lasciato vuoto dai partiti eredi del Novecento, che rischia di essere conquistato da forze avvezze all’uso della violenza politica. Il socialismo, nella sua forma storica, è stato sconfitto dal neoliberismo, ma nella società permane una domanda di giustizia sociale. Forse è arrivato il momento di liberarsi definitivamente della retorica del sol dell’avvenire e dare corpo ad una teoria della socialità in grado di dare risposte ai diseredati della globalizzazione, senza temere la sfida della rivoluzione digitale.