L'Università e Libera Campania

summer

L’argomento della settimana è sicuramente la processione di S. Matteo, ma non ho nessuna voglia di scriverne per due motivi: da un lato non mi va di alimentare il circuito comunicativo sulla vicenda, dall’altro sono convinto che l’atteggiamento rissoso sia stato guidato da una regia occulta con innesco ad orologeria. Inoltre, non so se è stato giusto definire “malavitosi” (ma qualcuno lo ha fatto?) gli uomini delle paranze, ma è certo che sono degli insopportabili scostumati prodotto degenerato della retorica populista dei “ragazzi dei quartieri”. Mi taccio e passo ad altro. Oggi si conclude la Summer school di Libera Campania. L’acronimo scelto è di per sé evocativo: GIÁ (Giovani, imprenditoria, innovazione). Hanno partecipato alla formazione, tenuta presso il castello di Ottaviano (confiscato a Raffaele Cutolo e attualmente sede del Parco Nazionale del Vesuvio), trenta giovani campani interessati ad iniziare un percorso imprenditoriale nei propri luoghi di origine e fortemente motivati ad operare nell'ambito dell’economia civile. Il progetto nasce dalla consapevolezza che la crescita di un territorio deve coniugare sempre più coesione sociale e sviluppo economico. Lungo questi due assi si muove GIÀ: la coesione sociale è declinata attraverso il tema della legalità; lo sviluppo economico attraverso l'innovazione, intesa nella sua accezione più ampia (tecnologica, sociale, di processo e di prodotto). La novità di quest’anno è la collaborazione con il Ministero per i Beni Culturali con il quale si sta riflettendo sulla necessità di valorizzare il patrimonio artistico nazionale attraverso il riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie. Anche l’Università di Salerno ha affiancato Libera con una collaborazione diretta del Dipartimento di Scienze Politiche, Sociali e della Comunicazione. In particolare si è presentato il progetto di “Chiamata alle arti” dell’Osservatorio sulle Culture Giovanili che intende contaminare l’imprenditorialità sviluppatasi dentro e intorno ai beni confiscati con la produzione artistica dei giovani campani. Il corto circuito determinato dall’unione dei due termini potrebbe dare luogo ad una sperimentazione concreta in cui il risarcimento materiale delle comunità locali, afflitte dall’inquinamento mafioso, passerebbe attraverso la costituzione di atelier in cui il talento artistico delle giovani generazioni ha libero sfogo seguendo il filo rosso della coesione sociale e dello sviluppo economico.

Immaginate cosa vorrebbe dire per la nostra regione se in ogni bene confiscato, insieme alle attività di cooperazione sociale o di gestione aziendale, si innestassero itinerari d’arte componendo un variegato mosaico di musica, arti visive, applicate, digitali, performative e creative dove l’utente/consumatore, eticamente orientato, può immergersi mentre acquista manufatti artigianali o prodotti enogastronomici o ancora usufruisce di servizi sociali comunitari. E immaginate poi cosa significherebbe per i comuni possessori di beni confiscati ritrovarsi, da un giorno all’altro, protagonisti di una rivoluzione dei consumi che mette in moto uno sviluppo socioeconomico etico arricchito da produzioni artistiche forgiate in una particolare comunità locale; e ancora quale valore aggiuntivo avrebbe l’occasione di restituire un bene sottratto ai mafiosi – che da buco nero diventa cometa luminosa – mescolando opportunità di lavoro, con risvolti civili, per disoccupati e possibilità di progresso culturale per consumatori critici. È come se all’improvviso sorgesse dal nulla una rete di centri commerciali che perderebbero lo status di “non luoghi” per divenire dei “super luoghi” nel senso della molteplicità delle scelte, tutte riferite ad una concreta convenienza della legalità. Non solo. Provate a pensare quale destino economico potrebbero avere i territori che decidessero di riconvertire i beni confiscati in incubatori di imprese sociali, di officine artigianali e di laboratori artistici trasferendo know how ai tanti giovani in cerca di occupazione, con modalità assolutamente trasparenti, generando reddito tanto per i lavori manuali, quanto per i lavori intellettuali. Scienze tecnologiche e umane andrebbero a braccetto rendendo competitive molte aree depresse ma soprattutto restituendo dignità civile a migliaia di cittadini storicamente accusati di collusione mafiosa. State ancora pensate a S. Matteo? Lasciate perdere: “A lava’ ‘a capa ‘o ciuccio se perde l’acqua e pure ‘o sapone!”