L'Italia al tempo di Renzi

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L’Italia è un paese in difficoltà e nell’ultimo quinquennio la retorica del declino si è imposta nella narrazione pubblica. I media fanno a gara a tirare fuori le notizie della crisi sociale, economica e civile rendendola apparentemente insormontabile. L’altra faccia della medaglia è, ovviamente, la continua, spasmodica ricerca di un salvatore della Patria che sia in grado di trarla in salvo dallo stallo in cui è piombata. L’arrivo di Renzi al Governo è stato, pertanto, caricato di aspettative; aspettative in gran parte alimentate dallo stesso premier: si è presentato come una specie di Flash Gordon promettendo di accelerare le riforme, di ridare speranza agli italiani (ormai demoralizzati e affetti dal virus dell’antipolitica), di restituire ottimismo e dignità alla politica e di rendere l’Italia un’interlocutrice affidabile nel nuovo scenario della globalizzazione. Baci e abbracci con Obama, dialoghi con la Cina, colloqui con la Merkel, rientro nella famiglia del socialismo europeo, accordi con l’opposizione (mettendo da parte la tara dell’antiberlusconismo), individuazione di una squadra di ministri e collaboratori giovani, strettamente legati alla sua leadership e in discontinuità con il vecchio gruppo dirigente ex Pci, capacità di comunicazione nazional-popolare, modi informali da ragazzo della porta accanto, disponibile al sorriso e apparentemente aperto al dialogo, cattolico, né di destra, né di sinistra.

Insomma il tipico giovane di buona famiglia, cresciuto e maturato nell’era berlusconiana, pienamente rappresentativo di quell’Italia in cui governare significa soprattutto bucare lo schermo con una presenza scenica carismatica da eroe vincente della domenica che tanto piace alle mamme, alle nonne, alle zie ma anche agli ambiziosi, agli opportunisti e agli indecisi. Renzi ce la sta mettendo tutta per dimostrare che è al servizio del Paese: tra un tweet e una slide gli italiani sanno che c’è qualcuno mai domo, mai fermo, mai contento, sempre in movimento, sempre connesso, sempre presente (dai selfie alle trasmissioni della domenica) a cui affidare il proprio destino. Non è necessario che abbia le qualità del grande statista alla Alcide De Gasperi o alla Aldo Moro perché questa Italia non ha nulla a che vedere con quella della Ricostruzione e del Miracolo. Agli italiani 2.0 importa sopra ogni cosa che il giovanotto sappia il fatto suo, che sia determinato (con quel tanto di cinismo machiavellico di marca fiorentina) e che se ne intenda un po’ di tutto senza conoscere nulla di specifico. In definitiva un politico giovane, profumato di fresco (come il protagonista di uno spot per detersivi), che abbia il coraggio di affrontare le contraddizioni del modello di sviluppo nazionale e di confrontarsi alla pari con i grandi della terra, parlando a braccio un terribile inglese proprio come farebbe un italiano qualsiasi di fronte ad un’assise internazionale. Perché piace Renzi? Credo che il suo successo non sia dovuto all’essere la riedizione aggiornata di Berlusconi ma piuttosto quella di Alberto Sordi, o meglio dell’italiano medio interpretato dell’attore romano. Ecco cosa scrive l’Enciclopedia Treccani in merito: «Il personaggio proposto da Sordi non era particolarmente buffo nel suo aspetto di uomo qualunque sulla trentina, non più bello ma neanche più brutto di tanti altri. Niente di particolarmente spassoso nel suo modo di parlare e di muoversi, né da stupido né da imbranato, e ben poco di attraente nel suo modo di comportarsi. Un mediocre, insomma, come se ne vedono tanti: nei confronti del quale si prova una certa superiorità, ma con le debolezze del quale si nutre una certa affinità inconfessabile». Buon 2015.