L'INFEDELE SCELTA DELL'INFORMAZIONE

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Hanno voluto contarsi, hanno perso. E’ da questa frase detta da Pietro Nenni a commento dell’esito del Referendum sul divorzio (calzante a pennello al voto referendario sulla Riforma costituzionale) che ora bisogna ripartire. Dove i sondaggi avevano sbagliato per difetto, gli exit poll sono stati molto precisi fin dalla prima rilevazione. Numeri importanti che nessuno alla vigilia prevedeva: affluenza quasi al 70%, oltre 33 milioni di votanti, dei quali 19,4 per il NO e 13,4 per il SI. Certo, ora si sarà tentati di attribuire il risultato al “risveglio” degli indecisi che scegliendo di votare hanno votato NO. Ma è dubbio sia questa la spiegazione da dare all’enorme scarto tra previsioni della vigilia (lo stesso Renzi, avvalsosi della consulenza di Jim Messina, guru della vittoria di Obama nel 2008, aveva ipotizzato nelle ultime ore la possibilità di “una rimonta bestiale”) e il risultato dello spoglio. Ora capiamo però che un peso decisivo nella sconfitta del Premier lo ha avuto il carattere dell’uomo, dotato di personalità di tipo A che, nella classificazione dei clinici Friedman e Rosenman, si caratterizza per “una competitività spinta in tutti gli aspetti della vita; una tendenza alla sfida e alla lotta; impazienza e insofferenza per i diversi ritmi altrui ma anche per l'insufficienza degli altri; tendenza a voler fare un illimitato numero di cose in un limitato periodo di tempo; necessità spinta di avere sempre il controllo totale delle situazioni”. Un vestito su misura per il nostro personaggio. Un carattere che lo ha spinto a fare diversi errori. Il primo è stato quello di non aver messo in conto che la “sua” Riforma avrebbe spaccato il Paese. O di averci pensato, ma sottovalutatone le ricadute su se stesso. Il secondo è stato di aver capito in ritardo che contenuti e modo di approvazione della legge avrebbero trovato una fortissima e trasversale opposizione nel Paese, che lo avrebbe lasciato solo contro tutti. E quando lo ha compreso, ha fatto di tutto per darsi più tempo. Portando gli elettori a votare a dicembre (data più unica che rara nella storia della Repubblica), inviando ambasciatori all’estero per orientare in favore del SI il voto degli italiani lì residenti, manovrando la spesa pubblica per acquisire consenso in diverse fasce elettorali, infine stringendo un patto di ferro con il Governatore della Campania (riconoscendogli la funzione commissariale e concedendo enormi risorse finanziarie alla Regione), ultimo approdato al suo cerchio magico. Ma De Luca non ha corrisposto alle aspettative del Premier (in Campania il NO ha preso 1 milione di voti in più del SI fermatosi a 839 mila, 150 mila in meno di quelli riportati dall’ex sindaco di Salerno alle regionali del 2015). Né è andata meglio in provincia di Salerno, con il SI a 191 mila voti e il NO a 350 mila. E così nella provincia di Napoli (399 mila il SI e 949 mila il NO) e a Napoli-città (127 mila i SI e 274 mila i NO), e persino nella “Fortezza” di Salerno, dove gli ordini passati dai De Luca hanno prodotto soli 29 mila SI, contro 44 mila al NO. In definitiva, anche il feeling con il politico del Pd che più gli somiglia per i modi sbrigativi si è rivelato un flop costato forse più voti persi (al Nord dove il SI è stato primo solo in 3 regioni) di quelli presi in Campania. Quelli del NO si sono battuti con intelligenza e passione, riuscendo a contagiare i cittadini durante la lunghissima campagna elettorale. Pur disponendo di una scialuppa rispetto alla corazzata Potëmkin del Governo. Resta il mistero italiano di come sia potuto accadere che la grande stampa nazionale (tranne FQ) e le reti televisive pubbliche e private (tranne La7) si siano offerte come megafono alla voce del “padrone”, ignorando un Paese che nel profondo aveva tutt’altri umori e sentiment. Una verità che la vittoria del NO ha messo a nudo.