L'impresa etica pia illusione

finanzaLeggendo i dati del comando regionale della Guardia di Finanza mi sono accorto che la provincia di Salerno, rispetto alle altre provincie campane, ha il più alto numero di imprenditori imputati in procedimenti penali. Badate bene non si tratta di prestanomi che agiscono per conto di malavitosi, ma di operatori economici le cui aziende sono regolarmente iscritte nei registri della Camera di commercio. L’elenco dei nominativi contiene nomi illustri, alcuni dei quali hanno caratterizzato la vita politica salernitana ricoprendo rilevanti ruoli istituzionali. Tra le imprese soggette ad indagine giudiziaria vi sono veri e propri “imperi” che, secondo la magistratura, si sono retti sulle fondamenta di una reiterata frode commerciale. Le aziende, in molti casi, sono risultate vetrine pubbliche strumentali che mascheravano operazioni illegali dietro la credibilità di un marchio affermato. Gli imprenditori sottoposti ad indagini appartengono ai vari settori della produzione olearia, lattiero-casearia, molitoria, della trasformazione ortofrutticola, della raffinazione petrolifera e della grande distribuzione commerciale. In particolare quest’ultima, per investimenti strutturali e numero degli addetti, è stata a lungo il volano della terziarizzazione dell’economia provinciale. Per questo il suo tracollo ha provocato un vero e proprio collasso collettivo, trascinando nel baratro dell’indebitamento decine di piccoli e medi produttori locali privati, all’improvviso, del loro principale canale di vendita e soprattutto gravati di una miriade di crediti inevasi. La conseguenza è stata una crisi di liquidità che ha frenato il settore alimentare e il suo indotto.

È interessante, inoltre, rilevare il ruolo giocato dagli istituti bancari che, prima, hanno concesso linee di credito illimitate, poi, diminuito il peso pubblico degli imprenditori più esposti, hanno chiusi i rubinetti dopo aver consentito clamorosi indebitamenti. In realtà, molti di questi “capitani d’industria” sono dei «falsi imprenditori», esattamente come li ha descritti il sociologo Salvatore Casillo. Avventurieri, quasi sempre implicati in vicende politiche, che hanno usato un sistema di relazioni istituzionali, multiple e trasversali, per fruire di flussi di finanziamento, pubblici o agevolati, in modo da abbattere ogni rischio d’impresa. Per di più, paradossalmente, tali figure si presentano nel panorama macroeconomico come accesi sostenitori dell’antistatalismo e nemici delle odiosa economia finanziaria, proprio mentre ricevono aiuti dallo Stato e trafficano con qualche manager bancario (locale e/o nazionale). Se proprio vogliamo dirla tutta, è proprio questa assenza di rischio che li sottrae ad una valutazione etica del loro operato, riducendone lo spessore a quello dei semplici faccendieri di periferia. Eppure, nonostante il primato, a cui ho accennato all’inizio di questo articolo, non mi pare (e spero di essere smentito sulle colonne di questo giornale), che l’AssoIndustria salernitana, negli ultimi anni, abbia mai cercato di fare chiarezza, o meglio pulizia, tra i suoi non sempre limpidi associati. La crisi, per quanto possa apparire strano, può essere un’occasione per conferire maggiore trasparenza al settore industriale meridionale. Così come, durante la presidenza Montezemolo, si è scelto di “scacciare” gli associati che non si oppongono al pizzo, bisognerebbe cominciare ad allontanare i soggetti cosiddetti borderline. Mi riferisco a quegli insopportabili approfittatori che evadono sistematicamente le tasse, avendo, ahimè, anche la faccia tosta di ricattare con il precariato decine di giovani lavoratori e di giustificarsi con la solita storia della pressione fiscale. Etica e impresa non sembrano andare molto d’accordo, ma è ancora più grave quando scopriamo che questa avversione indebolisce lo scheletro produttivo della nazione al punto da renderlo preda del virus mafioso.