L'Europa adesso svolti o rischia davvero grosso

 

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Conosceremo stasera il risultato delle Elezioni europee nei 28 Paesi dell’Unione. Oltre 400 milioni di cittadini sceglieranno tra 16 mila candidati quelli da inviare al Parlamento di Strasburgo. Secondo noti sondaggi di qualche settimana fa, in Italia la cifra delle astensione potrebbe toccare il record dei 20 milioni. Come mai? L’Italia, come altri Stati europei, è in recessione da molti anni. E, a torto o a ragione, la causa di questa crisi è addebitata anche alla politica monetaria della Comunità che in materia sembra obbedire solo ai diktat della Cancelliera Merkel. Una verità più retrodatata individua anche responsabilità condivise tra chi nel 2000 portò il Paese nella moneta unica e chi non seppe tenere sotto controllo la fase di avviamento dell’euro, accentuando la spinta recessiva di una moneta che arrivava sui mercati con tale forza da sostituire il dollaro. E si sa che quando si ha fretta, gli errori si sommano. Così a quelli della fase preliminare di negoziazione si aggiunsero quelli della fase successiva. Infatti, se è vero che l’Italia non era matura (per le mancate riforme nella lunga stagione del centro-sinistra, ma anche per la mancata innovazione tecnologica del proprio apparato produttivo portante), altrettanto deve dirsi dell’Europa, che da allora poco ha prodotto in tema di unificazione delle legislazioni che supportano lo sviluppo economico di un’Area Vasta qual è l’Europa a ventotto. Ha ragione allora il Nobel per l’Economia, Paul Krugman, che chiudeva con questo monito la sua column di venerdì sul New York Times (non a caso intitolata “Crisis of the Eurocrats”): “l’Europa moderna è stata costruita sopra una nobile idea, ma quell’idea ora ha bisogno di maggiori difensori”. L’idea originaria dei padri fondatori (da Adenauer a De Gasperi, da Schuman a Monet, da Hallstein a Spinelli) era quella di costruire gli Stati Uniti d’Europa. Inerpicandosi per l’aspro cammino che avrebbe messo nelle mani dei popoli il destino del Vecchio Continente. Invece, a distanza di 60 anni, dell’Europa dei popoli non c’è più traccia. Si è persa di vista l’importanza di avere le persone che li formano alle spalle di un progetto politico di così vasta portata. La gente è rimasta sempre più borderline. Si è pensato bastasse la “tecnocrazia”: costosissimi apparati capaci di produrre una quantità abnorme di documenti, protocolli, risoluzioni, direttive, studi (spesso di grande valore concettuale e civile), depotenziati però in partenza dalla mancanza di partecipazione attiva dei cittadini nelle scelte (il massimo che si potesse pretendere) e dall’insufficiente diffusione mediatica delle decisioni (il minimo che si potesse fare). Con il risultato che all’Europa (che ha bruciato miliardi di euro in illusorie politiche di sostegno e di sviluppo) non solo è mancato un proprio efficace organismo di controllo, ma è venuto meno anche quello gratis che avrebbero potuto attivare i cittadini se si fosse disposto che le stazioni appaltanti li tenessero informati su quello che si faceva, come si faceva, in quanto tempo e con quale risultato finale si faceva. Dove si è sbagliato? Dice Krugman che “l’abito dell’élite europea di mascherare l’ideologia come competenza, di pretendere che ciò che essa vuole fare coincida con quello che deve essere fatto, ha creato un deficit di “legitimacy”. Si traduca come si vuole (legittimità, credibilità, legalità) il senso non cambia. E non cambia nemmeno l’immagine che nelle parole del famoso economista in questo momento l’Europa intera trasmette di sé oltreoceano. Sono parole di condanna per il Vecchio Continente distratto, che rischia di precipitare nel caos dove s’era cacciato per non aver saputo capire e reagire. “La ripresa economica non verrà certamente da sola; l’élite europea ha necessità di ricordare qual è realmente il progetto. E’ tremendo vedere che molti europei rifiutano i valori democratici, ma almeno parte della responsabilità cade su funzionari che sembrano più interessati alla stabilità dei prezzi e all’onestà fiscale che alla democrazia”. E questo perché (parafrasando un pensiero di Theodor Adorno) non abbiamo saputo guardare al passato per realizzarne le speranze.