L' anno delle fritture di pesce

mezzogiorno-1L’anno che si chiude si può leggere con il solito metro del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno. Il mezzo vuoto è quello che ci condanna, noi italiani, alla stagione dell’irrilevanza; un popolo che si muove per esprimere un secco rifiuto alle politiche governative e viene premiato dal nulla, da uno scialbo riposizionamento di alcune pedine. I nomi, gli stessi del giglio magico e i soliti vizietti di mettere cavoli a merenda come la sindacalista diplomata all’ Istruzione.  C’è  però il bicchiere mezzo pieno della vittoria, quella conquistata da giovani, disoccupati, periferie, gente comune che ha voltato le spalle ai “poteri forti” per i quali la sola vittoria è già un premio. Un premio che la sinistra stenta a raccogliere mentre il Movimento 5 stelle continua a vincere, “a prescindere”, direbbe Totò,  dalle proprie proposte e capacità. D’altra parte, dove deve rifarsi la protesta?  A questo è servito il Referendum, ad indicare di che pasta e di che sangue è il malcontento, quello che il Pd e i suoi adepti hanno perso definitivamente per strada. L’Italia dei valori, non quella che sappiamo come è finita, ma quella della vita vera delle persone, si ritrova negletta da una oligarchia di gruppi di potere che stanno come gli dei sull’Olimpo a spartirsi posti e privilegi, a pagarsi le colf coi soldi pubblici,  o come  salvare le banche, in nome dell’economia ovviamente mentre i paesi vengono dissanguati e impoveriti. Ma il bicchiere è ancora mezzo pieno se consideriamo il 2016 come l’indimenticabile anno delle “fritture di pesce” e cioè del declino del padrone di Salerno che era andato baldanzoso alla conquista di Napoli, si era tuffato come un Paperone nel mare di soldi europei e inebriato da tanti miliardi, voleva fare il miracolo del pane e dei pesci. Moltiplicare il potere suo, dei suoi figli e del cerchietto magico, convinto di una valanga di voti con i quali tenere in pugno l’avventato Renzi che su quei voti si era giocato la faccia. Invece, sarà stato l’anno bisestile ma dopo venti anni di tracotanza, De Luca ha perso. Dimostrando che Napoli non  è Salerno e mentre qui stiamo ancora al feudalesimo, la grande città sta sperimentando, con tutti i se e i ma, la “democrazia di base”.  La “salernizzazione” delle mezze tacche, dei  “personaggetti” presi di peso e portati a Napoli, con incarichi ben pasciuti, non ha pagato,  perché non è facile, per un luogo che se ne cade di arte e di storia, confrontarsi con un Bottiglieri sui vari pasticci della politica culturale, dalla vicenda del Napoli Teatro Festival alla Scabec che dovrebbe concentrare una miriade di fondazioni sotto il controllo del governatore. Questo,  dopo che la signora Boldoni, quella delle cene eleganti della campagna elettorale, inquisita da quel dì, è stata costretta a dimettersi inseguita dal Fisco quando era evidente che mettere  una immobiliarista a capo dei beni culturali era stata una bestialità. E se Napoli ha risposto picche anche a Salerno le cose non vanno tanto bene. Qui c’è il sindaco “postumo” , quello che interviene sempre dopo le continue disfunzioni, le quali sono sempre colpa di qualcun altro e visto che non si può più dare  colpa alla Regione, si ricorre ora ai baretti per l’immondo rave party della vigilia; ora agli incivili se la città è sporca; ora ai turisti se non si cammina; a dimostrazione che non basta mettere i pupi per amministrare una città  se non si è creata una classe dirigente degna di questo nome. Per un intero anno è andato avanti l’osceno balletto delle responsabilità, ora per le Fonderie Pisano, ora per il traffico impazzito, mentre anche la maggioranza è diventato un luogo di malumori e di congiure. La verità è che è finita la pacchia, il potere si sgretola e anche l’obbedienza non è più quella di una volta. Così, tra Napoli a Napoli e Napoli a Salerno,  il governatore è apparso schiacciato tra i due fronti, è caduta la cortina di protezioni nazionali e  fioccano le indagini e le inchieste; se continua la china calante tutti i topi salteranno dalla nave che affonda e De luca si troverà come un Nosferatu in una città  invasa dalla peste del dissenso. Forse non si è definitivamente chiusa un’epoca; ma di sicuro è finita la stagione dell’uomo solo al comando e quella foto trionfale  del “Patto della Campania” siglata qualche mese fa a Santa Lucia, sembra ormai roba del secolo scorso.