Individualismo e rivoluzione digitale

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Da circa vent’anni, stiamo assistendo alla diminuita autorevolezza dello Stato nazionale, sotto la duplice pressione di globalizzazione e localismo. Il pensiero unico neoliberista ha sconfitto l’idea stessa di società. La fine del Welfare ha frantumato la sicurezza sociale. Una mutazione individualista ha travolto la democrazia: il sistema politico si è trasformato in una partitocrazia senza partiti. La società, inglobata in un indistinto ceto medio frazionato in corporazioni d’interessi, si è in gran parte spoliticizzata. Il secondo miracolo economico, versione italiana delle politiche Thatcheriane e Reaganiane, in una situazione già marcata dai segni della crisi e dalla contestuale fine dell’Impero sovietico, ha dato la spallata definitiva alla società del benessere. Ma la mutazione individualista è strettamente connessa all’affermarsi della rivoluzione digitale. Il computer ha riassegnato all’uomo la centralità dello sviluppo, sostituendosi al macchinismo della fabbrica.

L’informatica ha cambiato il mondo al punto da definire gli adolescenti “nativi digitali”. Ciò non significa che è finita l’epoca industriale, ma mutano i rapporti di forza, così come è avvenuto in passato tra agricoltura e industria. Internet, con la sua somma di individui connessi, ha reimpostato le coordinate geografiche: non esiste più un nord o un sud, un est o un ovest, ma un click che traccia forme di cooperazione glocale. Dietro un gesto individuale, paradossalmente, si aprono scenari socioeconomici, capaci di superare anche la carenza di infrastrutture materiali. La condanna all’isolamento sembra svanire nel momento stesso in cui l’uomo, sempre più solitariamente, si impossessa della rete digitale. Se muta la dimensione dello spazio inevitabilmente cambia anche la percezione del tempo. Nell’ambiente virtuale tutto è in real time. Quando si accede ad un social network si ha davanti un wall, una bacheca continuamente aggiornata. Un post dopo un’ora non è più rintracciabile, schiacciato da migliaia di altri post che lo hanno reso “passato”. Il mondo di internet non ha distanze, né fusi orari: da qualsiasi parte del pianeta si entri nella rete si è sempre “qui, adesso”. Se dopo un’ora un’informazione è già coniugata al passato, e il futuro deve ancora venire, siamo di fronte ad un tempo “sempre presente”. I nativi digitali vivono ormai parte della loro esistenza nell’ambiente virtuale, gestiscono un sé digitale identificato dalle fotografie, dai video, dagli “I like”, dagli status e dalle amicizie apparenti nei social network. Proprio per questo sono i più esposti alla dimensione del “sempre presente”: la storia diventa un buco nero dal quale si ha paura di essere inghiottiti. L’individualismo neoliberale ha spezzato la catena sociale creando un tempo diviso tra un passato da rinnegare e un futuro di cui temere. Tocca, allora, alla generazione di mezzo, quella che gli americani chiamano migranti digitali, entrare in gioco per restituire al tempo la spessore della profondità.