Imprese, clan e consulenti

imprese clan consulenti

I sequestri disposti dall’Autorità giudiziaria dimostrano come sia mutato il rapporto fra beni immobili e beni aziendali nelle dinamiche di riciclaggio del denaro sporco. La crescente vocazione imprenditoriale delle mafie assume ormai forme e tipologie sofisticate. Certo l’edilizia rimane il comparto in cui si concentrano i maggiori interessi; così come è annosa l’attenzione alle attività commerciali e turistiche, soprattutto i franchising. Sistematica, invece, è la presenza nell’agroalimentare che, con l’autotrasporto e i servizi logistici, costituisce un settore integrato. I clan hanno una particolare propensione a controllare segmenti imprenditoriali che non producono merci. Prediligono investimenti verso comparti che consentono una forte circolazione del denaro. Fagocitano principalmente i settori in cui è richiesto un apporto costante di capitali con uno scarso know how gestionale e hanno consolidato capacità di condizionamento del mercato a ridosso della spesa pubblica.

La forma giuridica maggiormente utilizzata è la società a responsabilità limitata, anche se le manipolazioni derivano dal “sapiente” sfruttamento di società partecipate e consortili. In una fase iniziale dell’avventura imprenditoriale dei clan il camorrista (o mafioso che dir si voglia) appariva in prima persona nella proprietà. Con il passare degli anni, invece, è diventato sempre più importante schermare la titolarità, in parte per occupare uno spazio legale nella comunità degli affari, ma fondamentalmente per rendere più difficile agli investigatori la possibilità di risalire ai veri proprietari del bene. Per questo consulenti economici e commerciali dei clan si sono fatti in quattro per registrare la nascita di società cartiere. Si tratta di imprese che producono una fatturazione fittizia, ovvero società cooperative che cambiano frequentemente soci e ragione sociale a seconda degli appalti a cui debbono concorrere. I sodalizi, particolarmente strutturati adottano sistemi ancora più sofisticati con intrecci di partecipazioni societarie che si possono così semplificare: al vertice c’è una società immobiliare o una finanziaria detentrice delle quote di maggioranza di una holding che controlla diverse aziende di bene e servizi nei più disparati campi d’azione. Tali società, a loro volta, posseggono, quote in società a responsabilità limitata che conducono al altre imprese. Un reticolo di partecipazioni incrociate nei quali compaiono soci estranei all’organizzazione mafiosa ai quali è difficile attribuire una diretta connivenza, rendendo ardua l’imputazione per associazione esterna di stampo mafioso. La collaborazione collusiva si è infittita anche grazie ad una indegna tolleranza della corruzione, canale privilegiato nel quale si incontrano gli interessi di imprenditori compiacenti, liberi professionisti immorali e affaristi della politica. Guardate alla nostra provincia, alle sue cronache giudiziarie e non vi basteranno le dita delle due mani per contare il numero di commercialisti, avvocati, architetti, ingegneri e persino notai che, pur non direttamente coinvolti, hanno accettato di mettere le proprie competenze e relazioni al servizio di interessi illeciti. Hanno favorito silenziosamente (lo chiamano segreto professionale in realtà è omertà di casta), il processo di mimetizzazione di operatori economici illegali offrendo soluzioni innovative, elusioni creative, accordi sottobanco, conciliazioni vantaggiose e compromessi poco compromettenti. Contribuenti irreprensibili che emettono regolare fattura per l’attività di consulenza. Operose formiche che stanno traslocando a pezzi l’economia criminale nel contesto legale approfittando della indignazione per i politici corrotti i quali ben interpretano il ruolo degli utili idioti.