Immaginario di un reale declino

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Come si è costruita l’immagine pubblica di Salerno in questi ultimi anni? Si è puntato molto sull’efficienza amministrativa e il restyling urbanistico. Una miscela suadente di concretezza e simbolismo sulla quale si è consolidato un consenso elettorale civico che, al di là delle collocazioni politiche, tiene insieme pezzi consistenti della borghesia e buona parte del cosiddetto popolino. Una delle battaglie campali è stata la necessità di rimarcare una differenza, quasi antropologica, dalla vicina Napoli, summa dei mali meridionali e divoratrice di possibili virtù. Salerno si è distinta non solo per lo smaltimento dei rifiuti, ma anche per i progetti architettonici, la riappropriazione di spazi verdi, la sicurezza urbana, la realizzazione di nuove strade e piazze (con le famose fontane), la pedonalizzazione di alcune aree, il recupero del centro storico, la terziarizzazione dell’economia e la qualità della vita notturna. Insomma una città dinamica che vista da lontano sembra divenire un faro illuminato nell’oscuro contesto regionale. Nell’immaginario collettivo nazionale Salerno ha conquistato un posto speciale: lì dove c’è la camorra, la monnezza, la speculazione edilizia, l’assenza di servizi e una forte marginalità sociale si è dimostrato che è possibile osare, sfidare oltre ogni limite il costante depauperamento delle risorse pubbliche e sognare di poter vivere senza dover scontare i ritardi tipici di un territorio condannato al sottosviluppo. Spesso, quando mi trovo al nord per lavoro, ricevo i complimenti di amministratori pubblici che ammirano l’operato del sindaco e della sua maggioranza per l’encomiabile lavoro di crescita civile operato in questa città. Proprio per questo fa uno strano effetto aprire i giornali e constatare, come in un bollettino di guerra, che, in realtà, dietro la vetrina dell’efficienza si sta consumando il dramma del disfacimento.

Esagero? Può darsi, ma lo sconforto aumenta se collego questa sensazione alle notizie di cronaca. La magnifica città del grande golfo è ormai priva di un servizio di trasporto pubblico. Siamo proprio sicuri che per risolvere il problema sia giusto privatizzare? Come ha giustamente rilevato Tony Judt per la Gran Bretagna, i privati sono disposti ad acquistare beni pubblici inefficienti solo se lo Stato (in tal caso gli enti locali già finanziariamente sovraesposti) elimina ogni rischio di perdita economica. Che impresa privata è quella che investe senza rischi? Staremo a vedere, ma un dubbio rimane: a che serve un trasporto pubblico concentrato nel capoluogo? Chi garantirà la mobilità delle altre comunità della provincia? Come faranno gli studenti universitari fuori sede a raggiungere quotidianamente l’Ateneo? Ma c’è un'altra notizia, sintomatica del declino, che colpisce, in sol colpo, due aspetti simbolici della rinascita salernitana: il centro storico invaso dai rifiuti. Non mi è piaciuta la risposta dell’assessore Calabrese che, interpellato da La Città, ha addossato la colpa ad anziani ed immigrati. Cosa significa una simile affermazione? I cittadini dai 15 ai 60 anni di carnagione bianca del centro storico sono rispettosi delle regole perché sono più salernitani? Cos’è razzismo da monnezza? Ma non è anche responsabilità del comune se esistono fasce svantaggiate che ancora non hanno compreso che è necessario smaltire i rifiuti in modo corretto? Non sarà che proprio la condizione di marginalità di questi cittadini li rende meno attenti ai bisogni collettivi? Piuttosto che «allargare le braccia sconsolato» mi aspetterei, da un assessore comunale, la soluzione del problema sia perché (se così è) si tratta di riconquistare la fiducia categorie disagiate, sia perché bisogna far rispettare le regole. Altrimenti può capitare che un Solone qualsiasi legge i giornali e si accorge della distanza esistente tra immagine e realtà.