Il Sistema Salerno

panoramicaNon ne viene fuori bene il Sistema Salerno dal dibattito organizzato l’altra sera da Salerno di tutti e da Franco Mari, uno dei primi seri tentativi di analizzare una lunga stagione politica della nostra città. Una stagione non ancora conclusasi che anzi vede anche in queste elezioni, il tentativo di mettere una seria ipoteca sul futuro, assegnando ai figli dell’ex sindaco Vincenzo De Luca,  motore primo del “sistema”, un ruolo politico per i prossimi anni. Il tema ha radunato un’area di pensiero critico della città fatta di opinionisti come Andrea Manzi, Massimiliano Amato e Giuseppe Vuolo; di studiosi come Pino Cantillo, Peppe D’Angelo, Vincenzo Esposito; ambientalisti come Lella De Leo, presidente di Italia Nostra, coordinati e moderati da Tonino Scala, responsabile regionale di Sel, con introduzioni di Franco Mari e di Gianpaolo Lambiase, candidato sindaco dell’area. L’occasione era certamente elettorale ma la qualità dell’incontro e dei partecipanti, anche di orientamento diverso, travalicava le elezioni per aprire un tavolo di confronto che si spera possa proseguire anche dopo questa scadenza elettorale. Un potere che dura da venti anni e cerca di tramandarsi dinasticamente non è un fatto che si possa liquidare facilmente e richiede una analisi approfondita a cominciare dalle difficoltà di questa stessa campagna elettorale, indubbiamente  condotta ad armi impari, essa stessa espressione del “sistema”. L’ex sindaco attuale governatore non perde occasione per usare i mezzi cospicui della Regione ( e la programmazione europea) per fare campagna elettorale nella sua città a cittadella-5678favore di un candidato sindaco che è la testa di ponte dei figli. Una pioggia di soldi, inaugurazioni di edifici ancora chiusi, un disinvolto uso delle istituzioni. La fotografia scattata pochi giorni or sono alla Stazione marittima,  con i rappresentanti della Confindustria, della Confcommercio, dell’Ance intorno al giovane Piero,  è l’immagine plastica del sistema che si regge su un patto di incrociati destini e interessi.  Nel dibattito di via Balzico, il parterre di relatori ha coniugato un catalogo disincantato del “deluchismo”, senza alcuna demonizzazione e senza subire la seduzione di una personalità indubbiamente di rilievo ma che ha avuto molte circostante favorevoli che ne hanno reso possibile tanta longevità. Pino Cantillo ha tracciato brevemente questo percorso, la riforma  Bassanini, i poteri attribuiti alla figura del sindaco e il clima degli anni ’90 con l’inizio di una crisi della democrazia rappresentativa, il ruolo via via depauperato del consiglio comunale che da luogo di discussione democratica è divenuto un non luogo di una mera esecuzione delle decisioni del leader. Sono gli anni del decisionismo, dello “sceriffo di Salerno”, capace di mettere in pratica i progetti già tracciati dall’amministrazione Giordano che cominciano a delineare il “modello” di una grande e magnifica città. Pino Vuolo ha evidenziato tutti i limiti di un modello espansivo fasullo di una città che non si è espansa per niente ma anzi ha perso negli anni migliaia di abitanti. La crescita tanto decantata, le migliaia di posti di lavoro, sono state una delle prime grandi menzogne, non tralasciando le violazioni su alcuni investimenti e progetti, da Piazza della Libertà, a Porta Ovest, con casi molteplici di ditte e imprese inquisite. Lella di Leo, presidente di Italia Nostra ha parlato delle difficoltà della battaglia sul Crescent, una battaglia ambientalista che non sempre ha visto la sinistra al suo fianco su posizioni nette e chiare. I tre cerchi disegnati da Cantillo vedono anche il richiamo dell’antipolitica, le invettive contro le anime morte dei partiti, a cominciare da quel partito, Pci e Pds e Pd,  dove lo stesso De Luca è nato e cresciuto politicamente. Un attacco che ha raggiunto il suo scopo, svuotare il partito di ogni comunerappresentanza sociale per farne un guscio vuoto, una segreteria politica agli ordini del capo. Per questo suona molto strano l’attacco condotto ieri da Nicola Landolfi contro il dibattito, da parte di chi ha fedelmente assicurato negli anni tale assoluta insignificanza della federazione di via Manzo. Quindi la nascita delle società miste infarcite di elettori, le cooperative, le regalie discrezionali,  e già nella prima consiliatura il “sistema” segna l’accordo con la destra, primo spregiudicato passo ante litteram verso il “partito della nazione”.  Passaggio cruciale questo, a  favore di modalità “machiavelliche”: il potere che si conquista con ogni mezzo, anche a costo di fare terra bruciata della storia della sinistra e già qui avrebbe dovuto suonare il primo campanello di allarme per la deriva politica verso la quale si stava andando. Invece, proprio tale spregiudicatezza, la rottura di vecchie regole, la “rottamazione” dei rituali,  finisce con attribuire forza e vigore al personaggio in una società sfiancata dall’assoluta “indecisionalità”. Prende corpo così la grande illusione, la stessa che colpì gli italiani con Berlusconi: l’uomo che decide saprà decidere anche per il bene dei cittadini. Come si è poi visto, questo miscuglio di forza e decisionismo, porterà spesso a rafforzare meglio il proprio potere (vedi Renzi) o, come nel caso del tycoon di Arcore, a curare meglio i propri interessi. Ma, per continuare la metafora dei cerchi di Cantillo, siamo solo al primo girone di questa sorta di inferno dantesco. Prende corpo il tema dell’urbanistica, dell’espansione cementizia, il piano di Bohigas del tutto disatteso, le varianti e i favori elargiti ai costruttori, quell’anima imprenditoriale della città che già si era arricchita ai tempi della DC e della prima grande speculazione edilizia che continua ad arricchirsi, con in più l’alibi delle archistar e della città più bella del mondo. Qui comincia a dispiegarsi  l’uso della Propaganda, la costruzione di “modelli di realtà”, la trasmissione di miti, la grande Salerno, la città europea, la comparazione a grandi capitali del mondo, in un percorso "mitopoietico" che fa leva sul senso di rivalsa della provincia, fino ad una identificazione massiccia  tra la città e il suo sindaco, per cui Salerno non è come Barcellona o Edimburgo ma è meglio, una propaganda che costituirà l’ossatura delle percentuali bulgare del 75 per cento. velaQuella che Edward Bernays, l’inventore della comunicazione pubblica, chiamava “L’ingegneria del consenso”,  a Salerno si dispiega alla grande e seduce più volte. La macchina deluchiana prosegue inesorabile facendo terra bruciata degli oppositori che vengono fagocitati ad uno ad uno,  fino ad annullare ogni parvenza di opposizione; la destra o si allea o è allo sbando, lo stesso per la sinistra; il dissenso represso, le deleghe di giunta fasulle, il consiglio comunale svuotato, un gruppo dirigente che a sua volta si identifica con il suo capo, se  ne fa portavoce e megafono, pena la perdita di favori e prebende. Una tale figura finisce col diventare un  gigante, suscitando grandi ammirazioni che occultano, sotto la grancassa degli annunci,  le tante ferite inferte alla democrazia locale e le tante disfunzioni della città mentre le responsabilità giudiziarie continuano ad emergere e a sopirsi, in un gioco giudiziario che coinvolge anche la giustizia. Le questioni Sea Park, Ideal Standard, le Mcm, gli incarichi ai project manager, gli abusi di ufficio, le violazioni ambientali, le ditte inquisite, le incompiute che costano il triplo, le varianti edilizie, si alzano come ondate di tsunami in una stampa che oscilla tra compiacenza e denuncia, per poi infrangersi contro scogli robusti di complicità o di tutele legali, di applicazioni  e disapplicazioni di leggi (vedi Severino);   fino a scontrarsi contro le stesse questioni sollevate per anni contro Berlusconi, dove non può essere la magistratura a risolvere i deficit di un paese. Esemplare in questo senso l’analisi di Massimiliano Amato e di Andrea Manzi che costruiscono tassello dopo tassello questo iter; il primo denunciando la scomparsa dei “corpi intermedi” quegli stessi che oggi accorrono in massa al richiamo dei giovani figli; il secondo disegnando,  anche nel suo percorso professionale di direzione di vari organi di stampa, tutte le difficoltà di una stampa indipendente su un territorio cosi “contaminato”. Le responsabilità politiche non sono mai individuali; senza il gruppo nutrito di yes man che ruota intorno a Vincenzo De Luca; senza il coacervo di interessi  vincenzo-de-luca1che ci sta dietro; senza la debolezza delle forze politiche di opposizione, il sistema non sarebbe mai nato né cresciuto. Come giustamente ha illustrato l’antropologo Vincenzo Esposito,  riferendosi ai modelli della termodinamica, questo è un sistema “chiuso” dove non si scambia niente con l’esterno; un sistema che ha stretto la città in un patto illusorio che si alimenta di se stesso,  che ricorda molto,  per omertà e coesione interna, per uso della violenza verbale e del controllo massiccio del territorio, i sistemi illegali che hanno messo radici in Italia. Un sistema “borderline” con la legalità, e che per questo ha bisogno di una continua  legittimazione in una  campagna elettorale permanente, ultima parvenza rituale di una società democratica. Ma De Luca non è né Ulisse “dal multiforme ingegno” né Godzilla, è solo un abile politicante che si è fatto interprete – e  garante - di molteplici interessi, un fenomeno tutto nostrano scaturito dalla debolezza delle nostre società. In una democrazia compiuta con una coscienza realmente “europea” dei cittadini, il "Sistema Salerno" non sarebbe mai nato.