Il popolo dei ruminanti

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La settimana scorsa si è aperto l’anno giudiziario contabile. Il procuratore regionale della Corte dei Conti, Tommaso Cottone, ha individuato nella moltiplicazione delle società miste la fonte dell’indebitamento cronico e strutturale degli enti locali. Il costo dei servizi pubblici erogati è aumentato senza migliorare in efficacia, né in efficienza. Dovevano essere strumenti snelli tesi a ridurre i farraginosi passaggi burocratici degli utenti in attesa di una sacrosanta risposta, sono diventate, invece, collettori clientelari a cui hanno avuto accesso, eludendo l’ostacolo del concorso pubblico, galoppini e faccendieri, il cui compito principale è orientare il consenso elettorale. Si è formata una casta che ha usato l’economia pubblica in maniera privatistica trasformandola in welfare familistico a vantaggio di pochi fortunati. Di fronte alla massa di precari, cassintegrati e disoccupati il privilegio dei raccomandati è ancora più lacerante, visto il perdurare della crisi. Se pensiamo, poi, ai tanti giovani laureati, costretti a fuggire per trovare una qualsiasi collocazione, monta la rabbia nel vedere ai posti di comando figure scialbe e incompetenti che, a guisa di parvenu, discettano sul futuro dell’Italia ignorando di essere loro stessi una delle cause dei nostri mali.

Emiliano Fittipaldi, scrivendo di Salerno su “L’Espresso”, ha ricordato che il comune, direttamente e indirettamente, controlla 43 società miste. Il che mi fa pensare: vuoi vedere che il procuratore regionale della Corte dei Conti voleva lanciare un monito proprio agli illuminati amministratori di questa città? Il popolo salernitano, tuttavia, ha lo stomaco dei ruminanti: mastica e rimastica la stessa erba producendo sterco profumato. Mi rivolgo, allora, ai genitori che hanno visto i propri figli partire perché Salerno non offriva opportunità degne di una città europea: il venerdì pomeriggio spegnete la televisione e uscite di casa. Andate a vedere lo spettacolo di una città senz’anima, rendetevi conto personalmente del fallimento di un modello sviluppo del tutto superato. In Europa la sfida dei governi locali non è l’architettura prezzolata ma l’applicazione delle tecnologie digitali all’interno di una governance orizzontale in cui i cittadini hanno voce in capitolo. Gli investimenti in infrastrutture cibernetiche costano meno delle colate di cemento, ma gli immarcescibili della casta locale neppure sanno di cosa si tratti. Quando un comune, in virtù delle sue roboanti conquiste, è sull’orlo del dissesto finanziario significa che non si è saputo amministrare. Seguendo la logica dello scarica barile, si attribuisce la colpa dell’indebitamento ai tagli operati dall’amministrazione centrale. Tuttavia, se lo Stato ha ridotto i trasferimenti pubblici un bravo amministratore o li sostituisce con finanziamenti privati – percorso accidentato dato il progressivo depauperamento del tessuto produttivo – o rivede i suoi programmi, rinunciando a qualche progetto “straordinario”, per difendere e curare i risultati ottenuti. Non mi pare che nessuna delle due opzioni sia in campo; anzi, in qualche caso, l’intervento privato si presenta come una vera e propria rapina ai danni delle casse comunali. Salerno è una città povera, ma non ditelo in giro perché il “Granduca” vi ascolta.