Il paese delle vittime

vittima carnefice

Sabato scorso è apparso un articolo con un titolo suggestivo: “Salerno città aperta”. Il mio pensiero, immediatamente, è volato al film di Rossellini in una Roma allo stremo, dopo vent’anni di dittatura, e in spasmodica attesa dei liberatori, ormai alle porte. Mi si accappona la pelle ogni volta che rivedo la scena in cui Pina (Anna Magnani) cade sotto i colpi del mitra mentre sta correndo dietro al camion dei rastrellati. La popolana inveisce contro i nazifascisti che le stanno portando via il compagno, Francesco, padre di un figlio mai nato. Il corpo senza vita della donna è sollevato da un uomo che, con quel gesto di misericordia, inverte la scena della Pietà di Michelangelo. Quell’uomo è un prete, don Pietro (Aldo Fabrizi), che rappresenta la Chiesa pronta a sorreggere l’Italia (donna, sposa e madre) divenuta vittima di una guerra disonorata, una guerra di “Bastardi senza gloria” o, se preferite un’interpretazione culturalmente elevata, della “banalità del male”. La nazione, dopo il ventennio fascista, mostra le piaghe del martirio per eludere la condanna della Storia e, grazie alla reiterata elaborazione del lutto, mondarsi dal senso di colpa collettivo. Don Pietro, accogliendola tra le braccia, sacralizza la morte di Pina trasportandola sul piano metastorico dei valori universali. La Repubblica nasce come il frutto di una nazione vittimizzata che cerca, e trova, conforto nei sacramenti della religione cattolica. Il paradigma vittimario, coniato dallo storico Giovanni De Luna, non emerge solo nel collasso della prima Repubblica, per sussidiare il crollo del patto di cittadinanza sancito dai partiti antifascisti, è piuttosto un’identità sotterranea, di lunga durata, connaturata al concetto di Nazione italiana formatosi in secoli di rappresentazioni immaginarie che hanno preceduto, sostenuto e alimentato l’ideale dello Stato unitario.

L’Italia di Dante è vittima di fazioni e lotte di potere tra monarchia e papato; vittime sono “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni; vittime sono i protagonisti dell’opera verdiana; vittima è anche l’eroe risorgimentale per eccellenza, Garibaldi, in ossequio alla causa nazionale; vittima è il proletariato in età liberale; vittime sono i fanti mandati al massacro nella Grande guerra; vittime sono gli oppositori della dittatura e i conformisti che hanno piegano la testa; vittime sono stati i partigiani e i repubblichini combattenti di una guerra civile, vittima è stato anche Mussolini appeso a piazzale Loreto e i partiti di massa subordinati alla guerra fredda; vittime sono quelle della mafie e del terrorismo. Se veniamo a tempi più vicini possiamo notare come i leghisti si siano presentati come vittime dello Stato centrale, contraltare della retorica vittimistica meridionale. Vittima di un complotto della magistratura e dei comunisti si è proclamato Silvio Berlusconi. Anche i grillini, ultimi arrivati, si sentono defraudati dalla malapolitica, dall’assenza di democrazia partecipata e hanno demonizzato l’euro, “boia finanziario” a cui attribuire la scure del declino. Vittima del “Riflusso” e del secondo miracolo economico è stata la sinistra post comunista. Pure Renzi si presenta come vittima di un sistema anacronistico che si oppone alle riforme e persino i mafiosi giocano questa carta agitando la bandiera del 41 bis. Vittime sono poi quelle travolte dal fango degli smottamenti, sepolte dai detriti dei terremoti, annichilite dai miasmi dei rifiuti. Nel discorso pubblico la memoria dei morti è molto più forte dell’agire concreto dei vivi. Siamo o non siamo il Paese dei “Sepolcri” e dei cimiteri artistici? L’apoteosi del vittimismo è stata raggiunta con l’elezione del presidente Mattarella: voce pacata, tono dimesso, atteggiamento umile, capo chino ed espressione pensosa, con una storia personale che lo rende l’uomo giusto a cui affidare il lutto nazionale. Naturalmente anche Salerno non sfugge a questa dinamica e sparge le sue vittime un po’ ovunque: a destra, a sinistra e nella società civile. Nel riflesso locale si duplica l’epifania vittimaria giocata come un jolly dal potente nostrano: vittima della concretezza amministrativa, delle “trastole” di partito, delle congiure di falsi rottamatori, di leggi ingiuste, di imbecilli, saltimbanchi e giornalisti zeppolari. Siamo tutti vittime di qualcuno o di qualcosa per non riconoscere che, in realtà, siamo un popolo di carnefici.