Il fallimento della classe dirigente

tartaglione

Osservo con attenzione il quadro politico nazionale e locale e diminuiscono le mie speranze. Si discute animatamente del nuovo governo mentre il comico genovese continua a piroettare, tra una provocazione e l’altra, per tenere alta la tensione in vista delle elezioni europee. Il Nuovo centro destra è già scomparso; nonostante la sua compagine ministeriale, di tanto in tanto, appaia in Tv è sempre più evidente la capacità del comico di Arcore di essere l’unica araba fenice della politica italiana. Solo Andreotti, in un sistema partitocratico ben diverso, era stato capace di altrettanta longevità. Il Pd campano, intanto, è riuscito in un’impresa titanica: il suicidio pubblico. La leader dei rottamatori, Assunta Tartaglione (gli amici la chiamano soavemente Susy), appare frastornata dai turbamenti interni che animano i suoi sostenitori. La candidatura della deputata è la evidente sconfitta dei renziani della prima ora, i quali, invece di reagire, si accodano (praticando quella realpolitik contro cui si erano battuti) alle decisioni di un caminetto regionale di politici navigati che, in un altro paese europeo, sarebbero già pensionati da qualche anno.

Ma Susy va avanti con sicumera pur sapendo che a Salerno, come a Napoli e nelle altre province, i voti raccolti alle primarie sono il frutto di un blocco di potere ventennale conglomerato intorno al governo locale. Il suo sorriso accattivante vale ben più di un’amara riflessione. Nel frattempo gli operai della Filtrona e gli impiegati della Eldo (tanto per fare due esempi recenti) sono rimasti senza lavoro e nessuno dei candidati alla guida del più grande partito della sinistra in Campania (ma neanche un misero consigliere comunale) si è voluto sporcare le mani con questa vicenda. Sarebbe il caso che dessero un’occhiata ai dati sulle nuove povertà della Caritas per comprendere cosa sta accadendo. È arrivato il momento di deporre le armi e ammettere che non si hanno le qualità per affrontare la situazione, questo vale anche per chi governa la Regione. L’attuale classe dirigente non è in grado di garantire sicurezza sociale e offrire rappresentanza politica al ceto medio tramortito dalla globalizzazione. Un fenomeno del quale non hanno capito nulla poiché vivono separati dal corpo della nazione, spartendosi gli ultimi spiccioli del debito pubblico. Mi verrebbe da domandare: vi siete accorti che, dopo i colpi subiti dall’economia industriale, l’onda lunga della crisi sta sommergendo il terziario? Avete compreso che la ripresa economica dell’Unione passa attraverso la crescita del Mezzogiorno? Avete realizzato che non si tratta di una crisi congiunturale ma di una trasformazione strutturale? La rivoluzione digitale, connessa alla globalizzazione, impone un ripensamento delle filosofie economiche e delle azioni sociali. Non si tratta di tweettare cazzare a tutto spiano ma di individuare nuovi approdi macroeconomici per invertire la polarità della crisi e mutare la mortificazione del precariato in occasione di sviluppo. Siete in grado di programmare un intervento pubblico che consenta a chi non trova lavoro, o ne è espulso, di modellare le proprie abilità assecondando le dinamiche del mercato? Il problema, da questo punto di vista, non è la disoccupazione giovanile ma la depressione del ceto medio, ovvero la generazione tra i trenta e i cinquanta anni con una famiglia a carico, che vive ai limiti della povertà e senza garanzie previdenziali da oltre un decennio. Si attendono risposte.