Il Diana, Alfonso Gatto e il "teatro tout court"

diana okDopo il terzo teatro, arriva un nuovo genere: “il teatro tout court”. Sarebbe quello individuato dal Corriere del Mezzogiorno di ieri per il Diana, l’ex cinema a luci rosse sul lungomare, sala che verrebbe dedicata, “finalmente”,  ad Alfonso Gatto. Ora che "finalmente” si dedichi qualcosa a Gatto, il massimo artista di questa città, è cosa lodevole e giusta e meglio tardi che mai. Quello che non torna invece è che gli si dedichi un teatro ma non si parla né di una sede per un museo, né di un archivio delle sue opere, di un luogo che non sia solo “dedicato a” ma che sia spazio vivente e pulsante dell’opera del poeta. Si era parlato di Palazzo Fruscione  ma evidentemente meglio dedicargli una sala la cui destinazione è già chiara, affidata da tempo alla gestione del Teatro Pubblico Campano. La vicenda del Diana infatti, lunga e tortuosa, merita ulteriori approfondimenti che non possono essere “oscurati” da una dedica giustapposta e appunto, tardiva. Un primo lotto di lavori nel 2007 di 450mila euro; un progetto di ristrutturazione per un milione di euro presentato dal Teatro Pubblico Campano; quindi una gara per un importo di 936mila euro;  il tutto per una sala di 200 posti con caratteristiche polifunzionali e uno schermo per proiezioni hi-tech. Infine una direzione artistica affidata in un primo momento a Lorenzo Amato che invece verrà gestita direttamente dal Teatro Pubblico Campano il quale programma la prosa del Verdi. Già il giovane Amato era stato scelto per la direzione del Verdi ma si sa che, principalmente, dirige alcune opere liriche nel cartellone di Oren; quindi la vicenda del Ghirelli, come con assurdo nome si è voluta chiamare la ex Salid (che, con tutto il rispetto per il compianto giornalista, nulla dice al luogo e alla sua storia) nel quale si è insediato il fallito Teatro Nuovo di Napoli, rilevato a sua volta dal Teatro Pubblico Campano,  mentre sotto il nome della  nuova società Assoli è sbarcato a Salerno per la Fondazione Salerno Contemporanea, ed ecco completato il cerchio. Che il Teatro Pubblico Campano  organizzi i cartelloni di una o più sale della città e della regione, è suo compito specifico come organismo di distribuzione ma altrove si sono fatte anche altre scelte; come in Puglia ad esempio dove l’analogo Teatro Pubblico Pugliese ha promosso il progetto dei “Teatri abitati”, dodici sale riattivate per altrettante residenze di artisti del luogo. Vista la scarsa incidenza del “direttore” Amato, c’è quasi da ringraziare perché almeno il TPC garantisce con “soli” 200mila euro del Comune, cartelloni importanti.  Il problema è che le scelte comunali, a prescindere dalla qualità degli organismi e dei programmi, continuano a privilegiare i medesimi operatori, non aprono alla collettività e creano aree di monopolio e di concentrazione che di fatto inibiscono  lo sviluppo di una produzione culturale indipendente. L’unico gruppo insediatosi in un teatro con forti agevolazioni (il COS al Teatro delle Arti) ha una offerta prevalentemente commerciale e in ogni caso non è aperto a nuove istanze; è stato incoraggiato il teatro amatoriale mentre le poche professionalità di teatro di ricerca e attoriali sono state quasi eliminate dalla città; né il cospicuo investimento nella Lirica (3 milioni e mezzo) e nel teatro di tradizione del Teatro Verdi ha  incentivato la nascita di produttori locali, con il risultato che la Legge regionale sullo spettacolo non ha quasi beneficiari nel territorio salernitano. Gran parte dei circuiti regionali  leoitaliani organizzano progetti, rassegne,  incentivazioni con e a favore dei produttori locali, oltre a inserirli nei cartelloni e non è pensabile che a Salerno possano agire solo operatori napoletani.   A Leo De Berardinis  andava dedicato il Diana  come propose tempo fa Pasquale De Cristofaro e per la sua direzione-gestione, come fanno altri comuni italiani, andava fatto un bando pubblico nazionale.  Perché che nulla possa crescere sotto l’ombra lunga di un così robusto “cartello” teatrale, quasi una roba da antitrust,  né il teatro di ricerca  e nemmeno il teatro “tout court”, è altrettanto indubbio e non serve metterci una toppa, che si chiami Ghirelli o Alfonso Gatto, il quale, a saperlo, si rivolterebbe nella tomba.

Nelle foto, la facciata del  Diana sul Lungomare e una immagine di Leo De Berardinis