Il crollo di Salerno

di Carmine Pinto
Le due attività che hanno più successo a Salerno (e in tutto il sud) sono i negozi “compro oro” e i locali del gioco d’azzardo. I fenomeni più clamorosi sono invece le innumerevoli attività commerciali che abbassano le saracinesche e le ditte che chiudono i battenti per fallimento. Certo, c’è qualche segnale diverso. Il turismo ha avuto dati positivi, ma tutti sappiamo che le presenze esterne crescono, e di molto, quando il potere economico degli stranieri è superiore a quello delle realtà che li ospitano. La realtà è diversa: il declino della economia e della struttura sociale della nostra provincia e del Mezzogiorno italiano, iniziato nell’autunno del 2009, si è trasformato negli ultimi mesi in un precipitoso crollo. Fermiamoci all’osservazione della realtà locale.
La prima questione riguarda il risparmio, i capitali conservati dai salernitani. Queste risorse sono frutto di tre principali momenti di accumulazione. Il primo sono state le rimesse degli emigranti, (inizio secolo scorso, secondo dopoguerra) a volte di proporzioni enormi. Il secondo è l’epoca del “miracolo”, con la formazione di realtà produttive e commerciali che tra gli anni sessanta e ottanta hanno dato vita all’attuale conformazione dell’impresa e del terziario nel capoluogo e in provincia. L’ultimo elemento, ma non per importanza, è stato l’impressionante trasferimento di risorse dallo stato ai cittadini, che sia nei servizi (infrastrutture, case, scuole, ospedali) o attraverso relazioni individuali (clientele o politiche sociali) è durato decenni. Il capitale dei salernitani è stato quindi accumulato in un lungo periodo storico che ha consentito l’attuale livello di benessere, nonostante le innumerevoli storture e distorsioni dello sviluppo.
Il fenomeno più rilevante di questa fase è proprio la fine di questa tendenza, il passaggio dall’accumulo di capitale al suo progressivo esaurimento. Innanzitutto la fine dei trasferimenti pubblici, nazionali ed europei, ha fatto emergere una realtà economica viziata dall’arricchimento facile e dalla scarsa propensione al rischio. Il blocco dei pagamenti in diversi casi ha provocato la crisi di ditte sane, ma in molti altri ha fatto emergere un modello aziendale basato sulle relazioni politiche e non sulla cultura d’impresa. In ogni caso ha ridotto al massimo il margine di accumulazione. La crisi di liquidità, poi, ha travolto il ceto medio, facendo emergere la fragilità di una società che negli ultimi anni si è lanciata sulle professioni libere (Salerno è la città degli avvocati per antonomasia) e sul terziario (abbigliamento prima di tutto). Infine, la ripresa massiccia dell’emigrazione, giovanile e non, ha mostrato un ambiente sociale chiuso e gerarchizzato, dove non c’è spazio per chi non è protetto e privilegiato. Finiti i partiti, terminate le vacche grasse della spesa pubblica, gli unici a conservare posti e ruoli sono sempre le stesse famiglie che da decenni, a prescindere da chi vince le elezioni, occupano militarmente il cuore delle relazioni economiche e professionali in tutte le istituzioni della provincia.
La conclusione è il passaggio dal declino al crollo. I “compro oro” e i debiti, stanno mangiando i risparmi dei salernitani. Le energie migliori preferiscono emigrare piuttosto che servire i soliti privilegiati, magari gratis, e portano con sé i risparmi dei genitori. I negozi e le ditte che chiudono a centinaia riducono sempre di più il potere di spesa della società e la circolazione di denaro. E’ un circolo vizioso che si alimenta e moltiplica automaticamente, eppure non si vede nessuna reazione di peso della società politica, chiusa nella difesa delle proprie carriere, come si è visto nell’ultima campagna elettorale. Sarà forse questo il sintomo più autentico del crollo?

di Carmine Pinto
Le due attività che hanno più successo a Salerno (e in tutto il sud) sono i negozi “compro oro” e i locali del gioco d’azzardo. I fenomeni più clamorosi sono invece le innumerevoli attività commerciali che abbassano le saracinesche e le ditte che chiudono i battenti per fallimento. Certo, c’è qualche segnale diverso. Il turismo ha avuto dati positivi, ma tutti sappiamo che le presenze esterne crescono, e di molto, quando il potere economico degli stranieri è superiore a quello delle realtà che li ospitano. La realtà è diversa: il declino della economia e della struttura sociale della nostra provincia e del Mezzogiorno italiano, iniziato nell’autunno del 2009, si è trasformato negli ultimi mesi in un precipitoso crollo. Fermiamoci all’osservazione della realtà locale.

La prima questione riguarda il risparmio, i capitali conservati dai salernitani. Queste risorse sono frutto di tre principali momenti di accumulazione. Il primo sono state le rimesse degli emigranti, (inizio secolo scorso, secondo dopoguerra) a volte di proporzioni enormi. Il secondo è l’epoca del “miracolo”, con la formazione di realtà produttive e commerciali che tra gli anni sessanta e ottanta hanno dato vita all’attuale conformazione dell’impresa e del terziario nel capoluogo e in provincia. L’ultimo elemento, ma non per importanza, è stato l’impressionante trasferimento di risorse dallo stato ai cittadini, che sia nei servizi (infrastrutture, case, scuole, ospedali) o attraverso relazioni individuali (clientele o politiche sociali) è durato decenni. Il capitale dei salernitani è stato quindi accumulato in un lungo periodo storico che ha consentito l’attuale livello di benessere, nonostante le innumerevoli storture e distorsioni dello sviluppo.

Il fenomeno più rilevante di questa fase è proprio la fine di questa tendenza, il passaggio dall’accumulo di capitale al suo progressivo esaurimento. Innanzitutto la fine dei trasferimenti pubblici, nazionali ed europei, ha fatto emergere una realtà economica viziata dall’arricchimento facile e dalla scarsa propensione al rischio. Il blocco dei pagamenti in diversi casi ha provocato la crisi di ditte sane, ma in molti altri ha fatto emergere un modello aziendale basato sulle relazioni politiche e non sulla cultura d’impresa. In ogni caso ha ridotto al massimo il margine di accumulazione. La crisi di liquidità, poi, ha travolto il ceto medio, facendo emergere la fragilità di una società che negli ultimi anni si è lanciata sulle professioni libere (Salerno è la città degli avvocati per antonomasia) e sul terziario (abbigliamento prima di tutto). Infine, la ripresa massiccia dell’emigrazione, giovanile e non, ha mostrato un ambiente sociale chiuso e gerarchizzato, dove non c’è spazio per chi non è protetto e privilegiato. Finiti i partiti, terminate le vacche grasse della spesa pubblica, gli unici a conservare posti e ruoli sono sempre le stesse famiglie che da decenni, a prescindere da chi vince le elezioni, occupano militarmente il cuore delle relazioni economiche e professionali in tutte le istituzioni della provincia.

La conclusione è il passaggio dal declino al crollo. I “compro oro” e i debiti, stanno mangiando i risparmi dei salernitani. Le energie migliori preferiscono emigrare piuttosto che servire i soliti privilegiati, magari gratis, e portano con sé i risparmi dei genitori. I negozi e le ditte che chiudono a centinaia riducono sempre di più il potere di spesa della società e la circolazione di denaro. E’ un circolo vizioso che si alimenta e moltiplica automaticamente, eppure non si vede nessuna reazione di peso della società politica, chiusa nella difesa delle proprie carriere, come si è visto nell’ultima campagna elettorale. Sarà forse questo il sintomo più autentico del crollo?

pubblicato su "la Città" del 23 marzo 2013