Il Congresso del Pd campano

di Carmine Pinto

Il Partito democratico è al centro della crisi italiana, come si è visto nella drammatica battaglia presidenziale. Il Pd della Campania ha ora convocato il suo congresso per l’autunno. Si tratta di un appuntamento di primordine per il sistema politico regionale. Il Pdl ha confermato una linea centralistica che non assegna per ora grandi significati a questi appuntamenti, mentre il successo elettorale ha stabilizzato la leadership di Caldoro. La nuova formazione di De Magistris è semplicemente scomparsa, mentre appare poco impiantato, a livello locale il movimento guidato da Grillo. Il congresso del Pd, svolto con le regole consolidate da sei anni, è pertanto il passaggio più importante dell’anno. Il segretario e l’assemblea regionale sono eletti direttamente con primarie popolari. Tutti i cittadini possono partecipare. I voti presi dalle liste determinano l’indicazione della leadership regionale, fotografando con chiarezza i rapporti di forza interni e le linee politiche prevalenti. I due appuntamenti precedenti (2007 e 2009) sono stati senza dubbi congressi veri, con decine di migliaia di partecipanti, volontari o clientelari.

Nel congresso fondativo fu eletto il salernitano Tino Iannuzzi, contro i candidati di De Luca e dei suoi alleati. Quello scontro fu, allo stesso tempo, l’apice e il crollo dei due cofondatori del Partito democratico campano: Antonio Bassolino e Ciriaco De Mita. Il successo fu pieno (nonostante le solite contestazioni) e seguì il clamoroso 70% del centro sinistra alle regionali di due anni prima. Però, solo un anno dopo, entrambi furono vittime della crisi del proprio potere, e delle centrali romani che non sopportavano le prepotente e combattiva autonomia dei due campani. La crisi dei rifiuti travolse Bassolino, insieme al pesante logoramento di dieci anni di potere assoluto ed incontrastato. Ma il terremoto di quei mesi consentì anche, a Veltroni e Franceschini, di assestare un colpo mortale ai due potenti notabili. Al primo fu spazzata via la corrente. A De Mita fu negata la candidatura, con l’aggravante della pugnalata alla schiena di gran parte dei suoi vecchi amici.

Il congresso successivo (2009) si svolse sulle macerie della vecchia leadership, anche se resisteva ancora il baluardo napoletano del bassolinismo (destinato ad essere travolto alle comunali del 2011). Però, ancora una volta, una rifletteva la realtà del partito. Il nuovo segretario regionale, Enzo Amendola, era deciso per la prima volta a Roma. La sua elezione rappresentava la realtà di un partito che, non avendo più una forte leadership regionale, era finito balcanizzato tra correnti, sottocorrenti e potentati locali. I quattro anni successivi furono una perfetta interpretazione di questo scenario. La segreteria regionale era semplicemente un luogo per mediare i problemi delle aree e garantire un pacchetto di candidature. Il Partito democratico invece perdeva praticamente tutte le elezioni possibili, dopo i quindici anni di trionfi bassoliniani. Travolto alle provinciali e regionali (2009 e 2010), umiliato al comune di Napoli e negli enti locali (2011 e 2012) ha toccato il punto più basso con la clamorosa sconfitta delle recenti politiche (2013), al termine di una campagna elettorale che era sicuro di aver vinto.

Il nuovo congresso è pertanto una sfida cruciale: Il Partito democratico deve risolvere la scelta della collocazione nazionale (Renzi o il gruppo dirigente storico), decidere la leadership regionale (diessini e popolari delle varie correnti, i renziani locali e i notabili provinciali) soprattutto dimostrare di proporre alla società campana la politica che ha mancato del tutto negli ultimi quattro anni. Solo così potremo verificare se il Pd sarà all’altezza di sfidare un Pdl che ha fatto della Campania la sua roccaforte meridionale ed italiana.

pubblicato su "la Città" del 20 aprile 2013