Il city brain e la città del futuro

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Mi ha citofonato, quasi urlando: “Scendi!”. Appena lo vedo provo a rimproverarlo: “Tonino, mi devi chiamare prima di venire sotto casa”. Non ribatte e con lo sguardo di chi è perso dietro un pensiero comincia: “Quanti sono i ragazzi tra i trenta e i quaranta anni, con dottorati e master, che sono andati all’estero?”. “Non lo so – ammetto – perché?”. “Ho avuto un’idea”, afferma con filo di voce. Non ho il tempo di reagire che già il “micciariello” s’è infiammato: “Cosa accade dopo una prolungata crisi economica? Un collasso al quale bisogna reagire guardando ad un orizzonte lontano, ovvero immaginando politiche strutturali. Roosevelt dopo la crisi del ’29 varò il New Deal e noi oggi dobbiamo fare la stessa cosa in condizioni diverse. La crisi dello Stato è anche crisi dei comuni, indebitati e incapaci di approntare una strategia di ampio respiro. Allora ho pensato che ogni sindaco dovrebbe avere al suo fianco un gruppo di giovani intellettuali con i quali pianificare il futuro della comunità. Roosevelt lo chiamò Brain Trust, noi potremo chiamarlo City Brain, il cervello della città. Uno staff senza le caratteristiche dello staff”. Lo interrompo: “Che significa?”. Riprende: “Lo staff di solito è composto da persone che non hanno autonomia intellettuale, agiscono ragionando e attuando le direttive del capo, sbrogliano la matassa e qualche volta fanno il lavoro sporco. Al contrario se fossi il sindaco richiamerei con un apposito bando i migliori giovani cervelli della città che sono all’estero o in altre regioni per affidargli la programmazione delle politiche urbane. La giunta dovrà dedicarsi alla cura della gestione, mentre questi dovranno immaginare la Salerno che lasceremo a figli e nipoti. Dovranno avere la massima libertà, senza sottostare al giogo delle beghe politiche, e lavorare in gruppo su un obiettivo di altissimo rilievo: Salerno 2050”.

Sgrano gli occhi: “Cioè?”. Continua: “Da un lato si lavora al governo giorno per giorno, dall’altro si costruisce una prospettiva per l’avvenire. Nel primo anno dovranno raccogliere i dati necessari per realizzare un piano strategico in grado di rafforzare le vocazioni socioeconomiche della città. Un piano che dovrà implementare le funzioni urbane in maniera trasversale, dalle infrastrutture ai servizi, per creare condizioni favorevoli al raggiungimento dell’obiettivo. Dovranno essere autonomi anche nell’organizzazione della raccolta dei dati, ma sicuramente sarà necessario partire dall’ascolto delle istanze di base: comitati di cittadini, scuole, ordini professionali, sindacati, associazioni di categoria, volontariato, parrocchie e così via, stimolati a pensare alla crescita del capoluogo nei prossimi trentacinque anni. Il City Brain potrà dotarsi, inoltre, di un social network su cui sviluppare e rendere trasparente le diverse fasi del percorso e raccogliere contemporaneamente i suggerimenti dei cittadini. Ma la vera svolta è riuscire a rendere visibile, grazie alla tecnologia virtuale, il cambiamento dei quartieri nel prossimo futuro. L’operazione fonda la sua credibilità sul fatto che il City Brain non è composto da politici in cerca di consenso elettorale ma da tecnici motivati, e sostenuti dal governo civico, a ridisegnare la città su esigenze collettive. Una volta terminato questo lavoro a loro spetterà il compito di individuare le risorse necessarie e i partner adatti per realizzare il programma, anche con azioni di lobbying internazionale derivante dalle precedenti esperienze professionali. Soprattutto sarà fondamentale coinvolgere l’Università, non a chiacchere, in una partnership dinamica e propositiva sia per gli aspetti culturali, sia per l’applicazione tecnologica. Infine, il comune dovrà approvare una delibera che vincoli le scelte del consiglio e della giunta alle proposte indicate dal City Brain, come un contratto sottoscritto tra le parti, in modo da evitare che il programma sia soltanto un bel libro di favole”. Lo guardo e gli dico: “Tonino ma tu veramente faje?” e lui: “E, veramente faccio!”.