Il Capitano con il granata sulla pelle

Pubblicato sull'edizione cartacea de La Città il 18 ottobre 2016

Il Capitano è colui che abbandona per ultimo la nave che affonda. Il Capitano è colui che dà l’esempio ai propri uomini, colui che non molla mai, colui che è capace di difendere i suoi compagni. Il Capitano non è uno come gli altri, ma l’uomo che deve anche mettere a disposizione la propria esperienza al servizio della squadra. La storia recente della Salernitana ci ha regalto alcuni di questi uomini: ricordiamo l’indimenticato Agostino Di Bartolomei, colui che insieme con don Peppino Soglia, il presidente del popolo, traghettò il sodalizio granata verso la terra promessa attesa per ventiquattro anni. C’è poi lo scugnizzo di Mariconda, il nostro Luca Fusco che qualcuno pensò potesse essere un imbroglione, ma i fatti ci hanno raccontato altro. Poi i due capitani della rinascita granata, targata Lotito-Mezzaroma, Francesco Montervino e Manolo Pestrin, e infine l’uomo del nord il trevigiano Roberto Breda. Il Capitano di Rossilandia, la squadra del profeta Delio Rossi, quella che giocava a memoria con tagli, triangolazioni e sovrapposizioni. La mente pensante era lui, quel Roberto silenzioso che proprio come Agostino preferiva il silenzio e parlare sul campo. Roberto da Treviso che proprio qualche giorno dopo la dipartita di Ago, guidò la Salernitana partendo dall’Olimpico di Roma per ritornare dove il popolo granata ha sempre sognato di arrivare un attimo prima di morire. Se chiedi ai tifosi salernitani cosa rappresenta per loro il Capitano di Rossilandia senz’altro bisognerebbe chiedere soccorso all’Accademia della Crusca per coniare nuovi aggettivi. Una stima inesauribile per un uomo che si è tauato la maglia granata sulla pelle.
Una favola quella di Roberto sintetizzata dal quel “bolide ignorante calciato a trentacinque metri di distanza”, minuto 76’ in quel di Avellino sotto la curva biancoverde. La Sud sintetizzò così: “Che l’Italia lo sappia: Breda al 76’” e Roberto diventa l’idolo di Salerno e il faro di una squadra che quando passa in vantaggio con una rete del camerunense Song all’Olimpico contro i padroni di casa della Roma, esordio in A dopo cinquant’anni, si lascia andare a una danza africana che rimarrà nella storia.
Ma quanti aneddoti potremmo ricordare del nostro Roberto, non solo in campo ma anche tra gli scranni del consiglio comunale in qualità di assessore allo sport. E poi? Ovvio, c’è Roberto in panchina, nuovamente alla guida di uomini tosti, a fine mese tutti senza stipendio. Ma in campo
scriveranno una favola, senza lieto fine, raggiungendo una finale playoff che vedrà i granata fermarsi a una sola rete dalla cadetteria. Una maledetta domenica. Ma adesso quelle lacrime si sono trasformate in sorrisi di gioia e speranza. Ciao Roberto Breda.