Iconografie barocche

Fino a un decennio fa, prima di essere travolti dallo tsunami dell'altrui vanità rosolata a puntino dopo un periodo più o meno breve di vacanza, occorreva aspettare qualche settimana. Il tempo che l'entusiasta viaggiatore rientrasse dalle ferie, disfasse le valigie e si recasse da un fotografo per far sviluppare i suoi rullini. Prima di vestire i panni del pubblico sorpreso e di inventarsi qualcosa di più sagace dei soliti "oh, bellissimo", "che meraviglia", scivolando nel sempre meno di circostanza e sempre più foriero di iatture "beato te" , avevamo il tempo, per così dire, di abituarci all'impatto, tergiversando sul giorno dell'appuntamento, informandoci dei convenuti, in una parola studiando a priori quel teatro spesso stucchevole e paradossale della celebrazione delle ormai consumate ferie dell'amico di turno. Anche per quelli di primo pelo, la dilatazione temporale giocava un indiscutibile vantaggio: da un lato consentendo all'ego dell'invitante di sgonfiarsi un pochino parallelamente allo scemato entusiasmo scontratosi repentinamente con lo squallore del quotidiano lavorativo, dall'altro offrendo al convenuto l'opportunità di prepararsi psicologicamente ad un estenuante e minuzioso resoconto di viaggi di cui probabilmente a nessuno sarebbe interessato nulla (perché sprecare una serata per sentirmi dire quanto è meraviglioso il mare delle Maldive? Lo so che è meraviglioso, ma io che mi anestetizzo di tavor e vino per salire su un aereo, io penso che ne deve valere la pena e nella mia economia mentale, ecco l'ho detto, ne vale la pena per ben altro che non sia un pesce e un'onda un'onda e un pesce che dopo tre giorni nella micro isola deserta te e il tuo compagno daresti fuoco a tutto il resort invocando un po' di sano caos e smog... scusate il flusso di coscienza). Oggi non è più così. Ve ne sarete accorti (soprattutto se appartenete a quella categoria di persone che utilizza con un certo orgoglioso snobismo i social network). Non c'è più tempo per prepararsi al cavallone, per inventarsi scuse, per sbronzarsi fingendo di ascoltare con un sorriso laconico di quanto erano squisiti i gamberetti appena pescati dal maori che per spillare qualche soldo al povero fesso fingeva ancora di parlare bingo bongo. Oggi lo schiaffo arriva in tempo reale: seppure il vostro è un ego monolitico, rischia seriamente di crollare sotto i colpi di una bulimia di pixel che non vi daranno tregua. State lavorando e dentro di voi bestemmiate anche in aramaico tutti i santi del calendario? Siete in coda in un traffico boia e avete accumulato un tremendo ritardo? Siete in fila al supermercato guardando l'orologio e contando a quanti battiti è schizzata la vostra tachicardia mentre la pletora di pensionati che vi precede scambia cordialità e ricette con l'addetto al banco dei salumi? Tranquilli. L'amico di turno non ha bisogno di tornare dalle vacanze per decantare le mirabilie di cui ha goduto. Ve le può spiattellare in faccia giorno e notte (dove lo mettiamo il jet lag) su Facebook. Vi siete rifiutati di iscrivervi? Vi twitterà. Avete deciso di cancellarvi anche da questo? Con whatsApp vi trapanerà le scatole con una overdose di immagini minuto per minuto, dalla spiaggia al ristorante, dalla discoteca alla squinzia di turno che ha abboccato all'amo. E poi c'è il nuovo taglio di capelli dal parrucchiere, le unghie "artistichissime" fatte dalla più figa delle nail artists della città, la T shirt fashionissima presa al volo a un prezzo stracciato, il sandalo supertaccoimperdibilechesonolapiucooldell'estate. Mica vorreste aspettare di incontrarvi de visu per dire "oh che meraviglia"? Mica vorreste provate a tergiversare accampando scuse? No no. Nelle periferie digitali, anche l'iconografia è barocca. Povero Deridda (e Nancy e Merleau Ponty senza andare a ritroso fino al Timeo di Platone). Ma veramente credete ancora che lo sguardo è l'identità? Che l'occhio è tattile? Ingenui. Accendete lo smart Phone. L'album è sicuramente già servito.