Iannone e il Che Guevara visto in tivù

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La Public History è la disciplina che divulga la storia tramandando l’ethos della memoria nazionale con competenza scientifica. Rientrano nel suo campo d’azione le rievocazioni che coinvolgono la comunità nazionale e locale (monumenti, musei, celebrazioni, commemorazioni, toponomastica, calendari civili, diffusione mediatica, ecc.). Ha scritto Nicola Gallerano: la Public History “è tutto ciò che si svolge fuori dai luoghi deputati della ricerca scientifica in senso stretto, della storia degli storici, che è invece scritta di norma per gli addetti ai lavori e un segmento molto ristretto di pubblico”. Questa peculiarità della disciplina, coniugata alla penetrazione della politica nello spazio della società civile, ha prodotto una degenerazione che si chiama “uso pubblico” della storia. Un vizio molto radicato tra i politici italiani abituati a sottomettere la narrazione ai bisogni contingenti con semplificazioni aberranti. Prende forma, in tal modo, un revisionismo “preoccupato solo dell’immediata attualità che… concepisce la storia dal punto di vista… di un presente assoluto in cui il rapporto con il passato è piegato alle leggi dello spettacolo”.

La destra (in particolare gli ex fascisti), per accreditarsi tra i soggetti fondatori della seconda Repubblica, ha fatto del revisionismo un fattore ideologico tendente ad abbattere i pilastri identitari della prima Repubblica: l’antifascismo, la Costituzione, la partitocrazia. Ha seguito una logica mercatistica: il capitalismo, più che lo Stato, ha prodotto la democrazia sconfiggendo tutti gli avversari ideologici. Per questo, secondo Cirielli, il 25 aprile non è la data del riscatto nazionale ma il ponte di congiunzione con l’America che ci ha liberati rendendoci tutti “figli dello stesso benessere”. È del tutto naturale che il delfino segua la stessa strada. Ma, come spesso accade, l’allievo commette un errore di imperizia: si è lasciato suggestionare dalla visione di un documentario. Se bastasse un lungometraggio a risolvere i conflitti armati, le lacerazioni ideologiche e i genocidi del Novecento eviteremmo di insegnare storia nelle scuole e nelle università. Metteremmo gli studenti davanti al televisore e ci dedicheremmo alla ricerca senza assilli didattici. Presidente, lei ha ragione quando scrive “Mai più né comunismo né nazismo”, eppure ci avrebbe fatto piacere se avesse usato il termine “nazifascismo” perché la Repubblica, di cui lei è rappresentante, è il frutto di una guerra civile tra italiani, alcuni dei quali (fascisti) hanno aiutato Priebke a rastrellare le vittime delle Fosse Ardeatine. Se vuole deliberatamente ignorare questa casualità, tirando in ballo Che Guevara (cha ha agito in un contesto storico e sociale diverso), mi consenta di dirle che è lei a spargere fumo sulla storia e non una fantomatica sinistra. Nel documentario che ha visto forse si sono dimenticati di ricordare le divergenze emerse tra Guevara e Castro sulla piega presa dal regime cubano. Non è questo il luogo per approfondire il tema. Tuttavia, a me pare che lei abbia agitato le acque per attirare l’attenzione, ricordando, così, ai cittadini salernitani la presenza di una Provincia e di un presidente di cui, francamente, ignoravamo l’esistenza.