I sostenitori dell'Opulenta Salernum

Principato di Salerno

Certe volte sono proprio dispiaciuto per alcuni miei concittadini che, parlando, perdono un’occasione per stare zitti. Il più delle volte accade quando si arriva all’argomento degli argomenti: com’è diventata bella Salerno negli ultimi vent’anni, come se prima del ’93 vivessimo nel mesozoico. In realtà, a pensarci bene non sarebbe male. Se così fosse Salerno potrebbe aspirare a diventare un’attrazione turistica internazionale, meta di paleontologi alla ricerca di fossili, graffiti e uova di pterodattili mai schiuse. Una specie di Jurassic park cementificato. Solo che in questa città quando nomini la parola “park” a tutto si pensa tranne che a un luogo di turismo e di divertimento. Scusate la divagazione e torniamo a sostenitori della “Nuova Salerno”. Alcuni sono ammirevoli, anzi, devo dire, nutro nei loro confronti una fastidiosa invidia: tu gli sottoponi immagini di opere incomplete e loro “Si, ma io ricordo la Salerno di prima e non ci sono paragoni”; tu gli mostri le cifre del dissesto e loro “Si, ma io ricordo la Salerno di prima e non ci sono paragoni”; tu gli fai vedere le sentenze della Corte dei conti e loro “Si, ma io ricordo la Salerno di prima e non ci sono paragoni”; Tu gli fai vedere la monnezza, le buche, i marciapiedi sconnessi, gli alberi curvi mai potati, i lampioni spenti della pubblica illuminazione, le finte inaugurazioni e loro, sempre con lo stesso tono di voce, “Si, ma io ricordo la Salerno di prima e non ci sono paragoni”.

Gli interlocutori, a questo punto, perdono la pazienza e dallo stato di quiete passano alla modalità incazzato: si agitano, diventano paonazzi e sono presi da una smania incontrollabile, come quella di chi in autostrada procede contromano e pensa di essere l’unico a procedere nel verso giusto. L’altro, il sostenitore della grandeur, lo guarda compassionevole perché in fondo ha ottenuto il risultato sperato e, quando lo vede gonfio d’ira al punto giusto lo punzecchia: “Ecco, siete violenti, aggressivi, incapaci di dimostrare le vostre teorie, dite sempre le stesse cose!”. Salerno è una città piccola e prima o poi, anche se tenti di sfuggire al singolar tenzone, troverai sempre qualcuno pronto a tirare fuori la questione. Una volta è capitato anche a me. Sapevo di trovarmi in una comitiva di adulatori dell’immane artefice. Mi guardavano come un reietto e parlavano tra loro facendo segni come i bari del Caravaggio. Uno di loro, ritenendosi il più furbo, decise che era venuto il momento di mettermi in mezzo: decantava a sperticate lodi questo e quello, se la prendeva con “quei quattro imbecilli delle chiancarelle”, sghignazzava ripetendo le battute volgari ascoltate il venerdì pomeriggio. Poi mi chiamò in causa chiedendo la mia opinione e la mia risposta fu questa: “Conosci la storia di Arechi?” Una voce solitaria si perse nel vuoto: “Chi, quello dello stadio?”. Pagai la mia parte di conto e mi allontanai, felice di aver evitato “la disfida della movida”. Perché ho tirato fuori la storia di Arechi II? Il duca longobardo, divenuto principe, spostò l’asse del potere verso Salerno che, grazie alla sua passione per l’architettura, fu trasformata in una moderna città medievale. Gli eredi dinastici la resero capitale di un Principato che si estendeva a nord fino a Sora, a sud fino a Taranto, facendo salve le bizantine Napoli e Amalfi. Poi, con l’avvento di Guaimaro IV furono annesse anche Amalfi, Sorrento, Gaeta e il ducato di Puglia e Calabria e si cominciò ad accarezzare il sogno di riunire tutta l’Italia meridionale sotto le insegne dell’Opulenta Salernum. Tra lotte fratricide e tradimenti di famiglie nobiliari il Principato durò poco più di duecento anni. Poi arrivarono i normanni e dei longobardi non rimasero che poche vestigia. La tomba di Arechi II fu distrutta dal nuovo signore, Roberto il Guiscardo, che volle costruire il Duomo abbattendo tre chiese longobarde, tra le quali quella di S. Maria in cui erano conservati i resti del principe. Il Duomo è ancora lì, di Arechi, invece, si sono perse le tracce. Possono passare anche duecento anni ma prima o poi arriva sempre un Roberto il Guiscardo a cambiare la storia.