I soldatini di piombo

soldatini di piombo

Da bambino giocava con i soldatini. Li disponeva intorno al colonnello e impartiva ordini: «Tu vai avanti, tu torni indietro. Tu esci, tu entri». Per questa sua smania di muovere vorticosamente i piccoli militari di piombo si ingarbugliava a tal punto che, spesso, era costretto a prendere il manuale di Von Clausewitz per sbrogliare la situazione. Se ne stava seduto in disparte, mentre i ragazzini della sua età correvano dietro al pallone, e ripeteva: «La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi». Gli altri lo guardavano straniti, ma a lui non importava; anzi, quando qualcuno tentava di prenderlo in giro, rispondeva: «l’obiettivo è uno solo, costringere l’avversario a seguire la mia volontà». Lo allontanava con un gesto di disprezzo, accusandolo di disfattismo, e tornava a concentrarsi sulla battaglia.

I sottufficiali venivano disposti a semicerchio in modo da poter udire sempre gli ordini del colonnello. I fanti erano disposti a macchie di leopardo intorno alla piazza nemica cinta d’assedio. Passava lunghe giornate a immaginare una tattica vincente che gli consentisse di abbattere fragorosamente l’avversario e costringerlo alla ritirata, lasciando il campo libero alle sue truppe. Squadrava la situazione, muoveva i cingolati, accorpava gli uomini e immaginava l’assalto al bastione dove si nascondeva il perfido antagonista: quasi sempre un vile comunista traditore della Patria; almeno a questo pensava quando doveva figurarsi un rivale. Le giornate festive le dedicava interamente a questo gioco e, la sera, sfinito dalla tensione di uno virtuale immobilismo, si coricava sognando gloriosi combattimenti, al termine dei quali entrava vittorioso nella città liberata alla guida di una colonna di autobus. Capitò, però, che una notte fosse attanagliato da un incubo. Nel sonno inquieto gli appariva l’immagine sfocata di un manipolo di soldatini che non indossavano la divisa. Avevano abiti civili, uno strano fazzoletto rosso intorno al collo e una spilla a forma di stella sulla giacca. Questi temibili rivali abbattevano le sue schiere nascondendosi nella boscaglia e adottando la tattica della guerriglia. Erano subdoli, insidiosi, ma soprattutto determinati. Si facevano chiamare partigiani a ma a lui, forse perché nell’incubo veniva irrimediabilmente sconfitto, sembravano banditi. La mattina si svegliò di soprassalto tutto sudato. Corse al plastico. I soldatini di piombo erano nella posizione in cui li aveva lasciati. Prese una sedia e osservandoli dall’alto cominciò a rimuginare sull’immaginaria disfatta. All’improvviso si illuminò, aveva trovato la soluzione. Andò a scartabellare tra i libri di strategia militare riposti nella libreria e tanto cercò finché non ebbe tra le mani un testo su cui c’era scritto a lettere cubitali exit strategy. Il volto del ragazzo ancora imberbe si illuminò. Lesse con attenzione: «una manovra o una serie di mosse, in grado di delineare una via d'uscita praticabile, che porti fuori dalle secche o dai rischi in cui si è arenata una condotta antecedente; una via d'uscita per allontanarsi da una situazione considerata intricata, insidiosa, imbarazzante o pericolosa, o per salvarsi dal fallimento di azioni precedentemente poste in atto». Nel caso quei maledetti banditi si fossero ripresentati li avrebbe strabiliati con una ritirata strategica mollandoli con un pugno di mosche in mano. Ricomparve il sorriso sul suo volto. Strappò la pagina del libro e la mise in tasca. Da allora porta sempre con sé quel foglio di carta e, ogni volta che il suo sonno è disturbato da nuovi e più agguerriti banditi, lo tira fuori come un amuleto. Lo legge e lo rilegge e, dopo aver quietato le sue ansie, torna a giocare con i suoi soldatini.