I salernitani e l'anno del voto amministrativo

David Chipperfield e Fermín Vázquez - Ciutat de la Justìcia - Barcelona (avvio lavori 2003, fine 2008)

David Chipperfield e Fermín Vázquez - Ciutat de la Justìcia - Barcelona (avvio lavori 2003, fine 2008)

Tra botti (proibiti eppure tuonanti) e spumante “sotto tono” per la congiuntura, anche il 2016 si è fatto vivo. Sarà l’anno del voto amministrativo. La prima volta, dopo un tempo lunghissimo, senza De Luca-senior. Lunghi anni che hanno trasformato in profondità la città, cambiandone, con discutibile effetto, la trama urbana. Ma anche incidendo in profondità sul carattere delle persone, forgiando una sorta di “salernitanus homo” portatore di una performance civica tutta sui generis, definita in loco con il felice termine di “salernitudini”. Le salernitudini sono il nuovo habitus mentale del salernitano medio: parcheggiare in seconda e terza fila, e in mancanza sul marciapiede, non farsi scrupolo di depositare la spazzatura dove capita, compiere di rado lo sforzo di cercare il contenitore più prossimo dove buttare la cicca o i rifiuti da passeggio. Per non dire di peggio. Combattere le “salernitudini” sarà perciò un problema per chiunque aspiri al governo della città. Contro di esse nulla hanno potuto le “sceriffate” di Vincenzo De Luca. Ma quelli saranno i problemi minori. I maggiori richiederanno molto impegno, idee chiare sulle soluzioni e mano forte nella gestione. Si tratta di stilare un elenco di priorità (dal trasporto pubblico, alle aree di parcheggio, alla pulizia e decoro di “tutta” la città - e non solo di parte di essa - al completamento in tempi brevi delle strutture pubbliche avviate, alla dotazione di impianti sportivi in ogni quartiere, alla definizione di un nuovo quadro di impegni sostenibili per la politica culturale e l’attrattività turistica, per la tutela dell’ambiente – cominciando da mare e spiagge – e per un sistema energetico sostenibile). Tutti argomenti ai quali nei prossimi mesi partiti e movimenti metteranno mano per attirare l’elettorato che si tiene sempre più lontano dalle urne. Alle elezioni regionali 2015, con De Luca candidato-presidente, gli iscritti nelle liste elettorali delle 152 sezioni cittadine erano 115.468. Ma a votare si recò solo il 60% di essi, cioè poco più di 69 mila. Quelli che non andarono a votare furono 46.187, cioè più di tutti quelli (45.745) che nelle nove liste di supporto votarono per De Luca che risultò votato dal 39,61% del corpo elettorale cittadino. Questo non sminuisce il significato di quel voto, ma ne ridimensiona la portata. Di certo non furono “solo le pietre a non votarlo” ma ben 69.273 cittadini in carne e ossa. Di questo dato però nessuno ha mai tenuto conto, perché è così che funzionano i sistemi elettorali. Ma la democrazia sostanziale è altra cosa. La democrazia sostanziale non dovrebbe mai ignorare i dati reali diversi dai risultati elettorali. Perché in mezzo a quei 69.273 cittadini che manifestarono il loro diritto al “non-voto” - dal 1993 non è più sanzionato - ce ne sono moltissimi che pagano le salate tasse comunali. Bisogna prendere atto che la democrazia a Salerno non è in grado di funzionare seguendo lo schema dell’alternanza. E’ stato osservato che quanto accade a Salerno (stesso gruppo di potere al comando da oltre 20 anni) non si verifica in nessun’altra parte dell’Italia. Con tutti i problemi che sono ogni giorno sotto gli occhi dei cittadini, con tutte le inchieste in corso, le condanne in sede civile, penale e contabile (non sempre definitive, d’accordo, ma per ora ci sono) si può credibilmente sostenere che “solo” Salerno è in Italia quel posto magico dove si produce buongoverno? O si deve dedurre che, dopo oltre 20 anni di potere solitario, “’o modell” è stato così perfezionato, esteso e ramificato da “includere” progressivamente pezzi di società sottratti ad altre sponde politiche e via via fagocitati, sicché oggi la maggioranza della società salernitana (solo di quella che però si reca ancora a votare) o fa parte del “sistema” e lo vota o con esso si relaziona perché non ha la forza di portarsi fuori dalla sua orbita senza disperdersi nel vuoto politico dell’insignificanza? Parliamoci chiaro: oggi a Salerno solo il M5S – se avesse i comportamenti che ha saputo trovare altrove – potrebbe dare forza a un serio tentativo di alternanza al deluchismo di lunga durata. Ma dovrebbe avere il coraggio di dichiarare, senza se e senza ma, che questo è l’obiettivo della propria battaglia politica in città. Scegliendo un candidato che per nome e per storia questo significhi davanti agli occhi dei salernitani, e dotandolo di un programma largamente condiviso da cittadini e militanti. Perché è proprio la “blasfemia” che in città esista un David disponibile a battersi contro Golia a rendere invincibile l’avversario senza averlo neanche costretto prima a combattere. Avviarsi verso una sfida vera o tanto "pe' pazzià", è questo l'amletico dubbio che i Pentastellati hanno davanti. Dimostrino di saperlo sciogliere senza dare alibi a un'altra "salernitudine": quella di nascondersi dietro la loro seconda faccia.