I patrioti dell'antimafia

falcone & borsellino

Nel biennio 1992-1993 lo stragismo mafioso ha spostato il movimento antimafia nel campo della Resistenza: ossia ha creato le condizioni per reiterare l’incitamento alla difesa dei valori repubblicani. La riproposizione degli ideali resistenziali, in realtà, è un gioco di specchi che, di epoca in epoca, riflette lo stereotipo del «canone risorgimentale». L’Italia sembra condizionata dell’idea di un Risorgimento perenne: in ogni fase di crisi si rinnovano le immagini, i simboli e i miti dello spirito unitario che hanno caratterizzato quel periodo storico. Così è stato per la prima guerra mondiale, tramandata come ultima guerra di indipendenza; così è stato per il fascismo che ha giustificato la dittatura plagiando il pensiero mazziniano e presentandosi quale avveramento della rivoluzione nazionale; così è stato per la Resistenza in quanto lotta alla tirannia, guerra allo straniero e conquista della libertà; così è stato per la lotta al terrorismo che ha verificato la saldezza delle istituzioni repubblicane; così è stato per il movimento antimafia che ha reso il tema del contrasto ai poteri criminali protagonista di una nuova stagione di difesa delle libertà democratiche. Un gioco di specchi, si è detto, che riflette i valori del Risorgimento nella Resistenza e dalla Resistenza all’Antimafia. La celebrazione della memoria dei cittadini virtuosi si connota come una religione civile in continuità storica con il repubblicanesimo risorgimentale. Un tragitto che giunge fino ai giorni nostri sotto forma di lotta per la libertà contro l’oppressione tirannica latamente intesa. Lungo questo cammino si incontrano le vittime delle mafie: patrioti che hanno impersonato in modo esemplare l’ideale repubblicano. Se la lotta alle mafie ha reinterpretato gli ideali resistenziali, il rito collettivo che ne è scaturito è garanzia di continuità storica: sacralizza le vittime svelando l’esistenza di una “patria di eroi”. Un pantheon che si oppone alla declamata «morte della patria». La resistenza civile antimafia è la prova che l’identità nazionale è in continuo divenire.

Il tessuto etico è la struttura di lungo periodo che alimenta una costante dialettica fra comunità e nazione, integrando le antiche e radicate tradizioni con le nuove condizioni imposte dalla modernizzazione: dal patriottismo risorgimentale a quello antifascista, dal patriottismo costituzionale a quello civile. Il minimo comune denominatore è la patria, ovvero il modo in cui si è inteso servirla nel corso della storia, le azioni intraprese per difendere il bene comune, l’opposizione ad ogni interesse particolare e ad ogni forma di discriminazione ed esclusione. Gli eventi del 1992 (tangentopoli, debito pubblico, mafia), e la più che decennale sclerotizzazione del sistema politico – nel passaggio dalla democrazia dei partiti alla partitocrazia decadente del consenso “drogato” –, svelano un «rancore civile», un clima diffuso di intolleranza: dai fermenti giustizialisti alla negazione della solidarietà, dall’insorgere del razzismo al conflitto tra i poteri dello Stato. Ciò nonostante la crescita civile della società italiana, come rileva Simona Colarizi, ha prodotto gli anticorpi necessari per rimodernare l’identità nazionale affrancandosi dalla tutela dei partiti: “in quella richiesta abbastanza generalizzata di una più compiuta democrazia che sale da un paese dove i legami di appartenenza ideologica ai partiti si vanno allentando con il tramonto delle grandi ideologie e la laicizzazione della società”. In questo contesto l’antimafia ha sussidiato il ruolo di soggetto politico, erede dei valori positivi della “Prima Repubblica”, evitando che la separatezza tra partiti e società divenga frammentazione civile. Il punto di coagulo è, appunto, il tessuto etico: un senso di cittadinanza comune aggiornato e consolidato da una profonda maturazione culturale ed economica innescata negli anni del boom economico. Scrive Maurizio Viroli: “Se vogliamo rafforzare la cittadinanza democratica, se vogliamo incoraggiare l’impegno dei cittadini a sostenere la libertà comune e a fare la propria parte di doveri sociali, allora bisogna rafforzare l’amore della libertà comune, non l’attaccamento ai valori etno-culturali della nazione. Abbiamo bisogno della patria, non della nazione. Non dobbiamo irrobustire l’italianità degli italiani proteggendo la loro unità etnica e culturale, ma lavorare sui valori politici della cittadinanza democratica e difenderli come valori che sono parte della cultura del popolo italiano. Fra “essere italiani” e “essere buoni cittadini” non c’è una correlazione necessaria: non c’è bisogno di essere genuinamente italiani, nel significato etno-culturale, per essere buoni cittadini, mentre si può essere purissimi italiani, ancora nel senso ento-culturale, ed essere pessimi cittadini”.