I CINQUE STELLE ORA DEVONO SAPER PARLARE AL PAESE

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L’arresto di Raffaele Marra, direttore delle risorse umane di Roma Capitale, è un colpo al cuore del Movimento di Grillo. Non a caso arriva ora che 20 milioni di italiani hanno bocciato il Referendum sulla Riforma costituzionale, una battaglia in cui i 5 Stelle si sono spesi moltissimo. E gli italiani ne hanno dato atto, tant’è che il sondaggio dell’8 scorso dell’Istituto Ipsos li dà al 31,5% contro il 29,8% del Pd. Un dato che non solo li confermerebbe primo gruppo politico nazionale, ma che disilluderebbe nel contempo quella parte del Pd che ha pensato di attribuirsi per intero il 40% dei Sì. Ora di fronte all’arresto di Marra, che arriva a poche ore dalle dimissioni della Muraro –  tenuta per mesi in “surplace” – il M5S rischia grosso. E non già per responsabilità dirette, quanto per l’incapacità di fare bene e subito le scelte riguardo alla Giunta e ai ruoli dirigenziali di prima linea. Non tutto però è compromesso o perduto. A patto si dimostri ora prontezza nell’individuare una strategia per affrontare le criticità operative del Movimento (per fare politica, devi darti efficaci regole interne) e respingere l’attacco esterno, organizzando la controffensiva verso i “cattivi maestri” che mestano nel torbido di una situazione non imputabile ai 5 Stelle, in politica solo dal 2013. Il chiarimento interno ormai non è più rinviabile. Si può capire che in un’organizzazione di cittadini – com’è la loro – non ci sia chi dà la linea e chi poi la subisca o la interpreti sul piano operativo. Il Movimento è un collettivo che si esprime attraverso i “portavoce”. Ma la Raggi, tra nemici esterni dichiarati e nemici interni di fronda, non ha saputo chi temere di più. E ha fatto di testa sua, sbagliando, ma assumendosene la responsabilità. Il Movimento nel suo insieme, proprio in ragione delle criticità organizzative, deve però ora avvertirla di una responsabilità più grande del suo ruolo di sindaca: quella cioè di “cartina di tornasole” dell’adeguatezza o meno ad essere investito del mandato di governare il Paese. Unificato, ma mai unito nelle sue diverse anime. Tanto più ora che esce da una “guerra di parole” combattuta a tratti con la rudezza di una guerra vera. E se la signora Raggi dovesse manifestare insensibilità in tema, andrebbe lasciata in balia degli eventi, non essendo possibile per i Cinque Stelle surrogarsi a lei. Neppure se, per ipotesi, decidessero di condividerne la responsabilità. Soli referenti della sindaca, infatti, restano i cittadini che l’hanno eletta con un plebiscito. Questo non significa che al Movimento, come soggetto collettivo nazionale, non resti un’uscita di sicurezza per non “evaporare”, sconfitto dalla propria natura che lo porta a combattere al proprio interno con la durezza riservata agli avversari esterni. I 5 Stelle sono consapevoli di giocarsi a Roma la carta vincente o perdente per l’idoneità a governare il nostro malconcio Paese. Ma nel momento in cui avvertono il fiato sul collo, non hanno ancora chiaro il quadro delle mosse da fare. Dovrebbero parlare al Paese, come hanno fatto durante la campagna referendaria. Raccontando qual è la natura dei problemi che incontrano nello smontare il radicato sistema di potere trovato al Campidoglio. Un sistema che rende la politica funzionale agli affari dei gruppi che la sostengono. E la struttura burocratica – attraverso lo spoil system – funzionale al quadro politico che comanda nella metropoli. E’ vero: Regioni e Comuni godono di una stabilità governativa sconosciuta al Governo della Nazione. Ma è anche vero che attraverso quelle “due porte” passa il grande business della corruzione che la Corte dei conti stima in 60 miliardi l’anno. E’ questa la vera grande sfida che deve vincere chi aspiri a cambiare in profondità il Paese. Prima che si affermi l’idea che, nei governi territoriali, “bravi” delinquenti facciano meglio di buoni politici.