Giustizia italiana sotto assedio

images

La giustizia italiana è da anni sotto assedio. Ma ora a premere alle porte della “cittadella giudiziaria” non sono più le sturmtruppen dei berluscones ma l’Europa coi suoi severi giudizi sul funzionamento del nostro sistema giudiziario. “The 2014 UE Justice Scoreboard” (Quadro di valutazione europea della Giustizia 2014) reso noto da poco dalla lussemburghese Viviane Reding, Commissario europeo per la Giustizia, fa una preoccupante fotografia del nostro sistema giudiziario che continua ad accumulare ritardi nel processo di riforma. Nel Rapporto è detto con estrema chiarezza che “well-functioning justice systems are important structural condition on which Member States base their sustainable growth and social stability policies”. Che tradotto significa che in Europa il recupero di qualità, efficienza e indipendenza del sistema giudiziario viene valutato come “un’importante condizione strutturale sulla quale gli Stati Membro fondano le loro politiche di crescita sostenibile e di stabilità sociale. Del resto, Scoreboard a parte, sono noti a tutti gli italiani i tempi biblici con i quali sia la giustizia civile che quella penale operano nel nostro Paese. Significherà pure qualcosa il fatto che una classifica di 144 Paesi veda l’Italia al 68mo posto e tra i primi 10 Finlandia, Germania, Olanda e Svezia? La verità è che da noi il tema della Riforma della Giustizia assume toni “apocalittici” ed è visto come il campo di battaglia dello “scontro finale” tra giustizialisti e garantisti. Se è certo che non possono essere i magistrati a fare quella Riforma (non fosse altro che per il fatto di essere “parte” di un insieme molto complesso), è altrettanto scontato che l’associazione che li rappresentata debba essere consultata riguardo all’organizzazione del lavoro, che può interferire con il principio di  indipendenza, irrinunciabile bene collettivo da tutelare. A patto che di vera indipendenza si tratti (sempre e da tutti) e non di altro. Ma se i magistrati pretendessero di chiudersi a riccio, di respingere come invasioni di campo  qualsiasi forma di rendicontazione pubblica della loro delicata funzione sociale, se continuassero a ritenere intoccabile il loro sistema di autogoverno che – giusto per ricordarci di Salerno – a distanza di mesi appare bloccato sulla nomina del nuovo Procuratore capo - si esporrebbero  a critiche severe, non etichettabili poi come assalto al “Palazzo d’Inverno” dell’indipendenza dei magistrati. Se non si rimuovono le cause che hanno determinato agli occhi dei cittadini il progressivo downgrading della credibilità della magistratura, non ci si può poi sorprendere che nel Paese cali la sensibilità sul tema (decisivo per l’amministrazione della giustizia) dell’autonomia dell’ordine giudiziario. Com’è accaduto giorni fa quando la politica ha pensato di attivare l’applausometro popolare sull’iniziativa di ridurre gli stipendi ai magistrati. Fingendo di ignorare che la prima forma di indipendenza è quella economica. E che un Paese dov’è diffusissima la percezione che coi soldi siano molti a lasciarsi comprare (secondo Eurostat il 97% degli italiani è convinto sia la corruzione la vera piaga del Paese), l’ultima porcheria che la politica potrebbe fare sarebbe di facilitare il contagio nel mondo giudiziario. La documentata inchiesta di Emiliano Fittipaldi sul numero in edicola de L’Espresso dimostra fatti alla mano come la corruzione stia mettendo piede anche nei Palazzi di Giustizia dove “ tra mazzette, favori e regali nei tribunali di ogni tipo cresce un nuovo fenomeno criminale. Che ha per protagonisti magistrati, avvocati e funzionari. Pronti ad arricchirsi sfruttando la macchina ingolfata dei processi” (dalla copertina). Un fenomeno (Fittipaldi fa nomi e cognomi) che riguarda tutti i settori della giurisdizione: civile, penale e amministrativa. E’ interesse di tutti –  dei magistrati perbene e onesti (che pensiamo siano la stragrande maggioranza) come dei cittadini - avere una magistratura libera, indipendente e “well-functioning”. Che sappia fare buone inchieste e pronunciare, in tempi giusti, giusti verdetti. Il Paese ha vitale bisogno di magistrati che con la qualità del loro lavoro dimostrino che c’è ancora convenienza ad essere onesti.